Giacomo Sartini
Quando Gherardo Colombo parla ad una platea una cosa è certa: non ti annoi. Anzi due cose sono certe: non ti annoi e impari, sempre, qualcosa. Se non altro per come si pone. Coinvolge, domanda, dialoga. Stimola e educa.
Ho avuto il privilegio di condividere un’ora con l’ex magistrato del pool di Mani Pulite una mattina di metà giugno. Fuori era caldo, dentro il suo ufficio tirava un’aria leggera. Mi accoglie con garbo, umiltà e un sorriso sincero. Si accende una sigaretta e ne esce una chiacchierata.
35 anni fa, il 17 marzo 1981 Gherardo Colombo e il suo collega Giuliano Turone indagando sulla bancarotta del banchiere Michele Sindona – quello del caffè, ndr – scoprono gli elenchi della loggia segreta P2 (Propaganda 2) del Maestro venerabile Licio Gelli. Crogiuolo di ambiguità, misteri e potere.
Partirei dal marzo 1981, si scoprono gli elenchi e gli italiani come reagiscono?
E’ un po’ difficile riuscire ad andare dietro e rivedere, potrei parlare delle reazioni della stampa. […] Progressivamente reazioni di peso: da una parte la reazione istituzionale con la costituzione della commissione dei tre saggi che decreta la pericolosità della P2 […] molto sentita dagli organi di stampa e credo molto anche dalla cittadinanza. Reazione di sorpresa e scandalo. L’attenzione e il clamore sono progressivamente poi anche scemati perché succede sempre così. Anche se continua a resistere l’attenzione da parte di persone che però hanno una certa età. La memoria non è che sia stata particolarmente coltivata nelle sedi peraltro in cui a mio parere andrebbe coltivata, perché si tratta proprio di storia.
Ci si dimentica progressivamente anche perché non viene rinnovata la memoria. La P2 al liceo, alle superiori non sanno proprio che cosa sia, ma così anche per Piazza Fontana. A me è successo più volte di chiedere negli incontri con i ragazzi delle superiori chi avesse messo la bomba e la stragrande maggioranza proprio non sa di cosa si parli e c’è qualcuno che mi dice che l’hanno messa le BR che neanche esistevano ancora nel 1969.
Diceva Enzo Biagi in Diciamoci tutto, era il 1984: “Della P2 non mi piace nulla: né lo spirito né le imprese. Tra gli aderenti figurano alcuni ingenui, molti furbi, e una massa di insicuri”. Quanto c’è di vero e quanto condivide?
Lì bisogna vedere cosa intende Biagi per insicuri: chi stava nella P2 ci stava molto spesso perché richiedeva protezione, oltre che opportunità. Nella P2 ci andava molto spesso gente che pensava che iscrivendosi avrebbe avuto, diciamo, “potere” che non avrebbe mai avuto. Secondo me questo tema della ricerca del potere si sposa con l’insicurezza. Gli ingenui, ce ne saranno stati, secondo me non tantissimi ma questa è un’opinione personale. C’erano anche i furbi che esprimevano un’adesione finalizzata ai propri scopi. Per dire… Lei sa che c’erano tanti appartenenti ai servizi di sicurezza che avevano operato per depistare le indagini sulle stragi… E lì un’adesione a un disegno c’era.
Mi dica di più sul depistaggio. E’ stato fatto solo per un tornaconto personale?
Lì bisogna vedere il livello, no? Il livello… Di inserimento. Un tornaconto personale se vogliamo vedere ad ampio raggio sostanzialmente c’è sempre, perché se tu fai le cose che sono gradite al potere un ritorno ce l’hai…. Però secondo me c’erano anche delle perone che avevano delle convinzioni e che quindi pensavano che fosse ”giusto” operare in quel modo. C’erano persone che si potevano sentire, credo, strumento del potere, altre che ci credevano. Così ad occhio a me pare che giocasse di più la convinzione. Poi bisognerebbe vedere bene i casi singoli.
Lei indaga su Sindona e vengono fuori…
Sì, Turone e io investighiamo su Sindona e investighiamo su una serie di vicende come l’omicidio Ambrosoli.
Si arriva così a Castiglion Fibocchi, Villa Wanda.. Però poi, ed è un leitmotiv nella sua carriera giudiziaria, le carte da Milano passano a Roma. Ai tentacoli di Roma e tutto si perde… Come è possibile? A Roma non funziona nulla di principio?
Anche a Milano ci sono state delle specie di resistenze all’eversione. Il procuratore della Repubblica di allora suggeriva di restituire le carte a Gelli, ma è stata una resistenza senza sbocco qui a Milano, perché era isolata. Nello stesso tempo per quanto riguarda i fondi neri dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) a me dalla Procura della Repubblica era arrivata una richiesta di archiviazione, cioè… La Procura della Repubblica aveva chiesto l’archiviazione e l’aveva chiesta svolgendo un’indagine che non avrebbe potuto far emergere quello che era emerso dalle lettere anonime. È stata fatta un’indagine sulla regolarità formale dei bilanci mentre bisognava andare a vedere altro, ossia la documentazione bancaria. Allora un giudice istruttore che forse è stato un pochino distratto, che non avesse avuto l’accortezza la preparazione quelchelè per andare ad individuare quello che era il campo da investigare, avrebbe archiviato e tutto qua. Perché a Roma funziona in un altro modo? Io credo che si tratti proprio di una questione di mentalità, non è necessario andare a pensare alla malafede, ma proprio a una visione secondo la quale in certi cassetti non si guarda e siccome in certi cassetti non si guarda è giusto non guardarci… Quindi la risposta è tutta diversa.
Quindi una cultura
Eh sì… Roma – almeno allora, adesso le cose sono cambiate – era molto vicina al potere e quindi questa pratica di relazioni aveva una capacità di influenzare il pensiero in un modo molto diverso da Milano.
Infatti lei poi ha anche recentemente dichiarato che se le indagini fossero rimaste a Milano si sarebbe scoperto il sistema della corruzione – Mani Pulite, per intenderci – 10 anni prima.
Sì sì, 10 anni prima… indubbiamente. Indubbiamente, perché le carte c’erano. Le possibilità c’erano.
Mi sono appuntato l’articolo 18 della Costituzione che naturalmente lei sa meglio di me. Quello che mi interessava chiederle è: ormai la p2 non esiste più…
Sì.
Conferma?
Be’ esisteranno altri strumenti magari, però la P2 no. Nel momento in cui è stata svelata, basta.
Esiste però la massoneria
Sì.
All’interno dell’art. 18 come si colloca il fenomeno della massoneria? Che cos’è? È legale?
“È legale nella misura in cui possono essere conosciute le informazioni che la riguardano. La P2 era segreta nel senso che si parlava della sua esistenza, ma non si conosceva… Invece la magistratura ha avuto, perché ha raccolto un sacco di dati, la possibilità di chiedere alle organizzazioni massoniche: dateci gli elenchi. E gli elenchi sono stati ottenuti. Allora è una cosa diversa“.
Quali sono gli scopi della massoneria rispetto a quelli della P2?
Lo scopo della P2 era uno scopo ricattatorio sostanzialmente eversivo. Quando noi parliamo di eversione tante volte pensiamo al colpo di Stato. Ecco, senza che si arrivasse al colpo di Stato, era un’eversione attraverso la strumentalizzazione delle istituzioni. Invece la massoneria in sé non ha una una finalità di questo genere. La massoneria ha delle finalità diverse che possono riguardare la possibilità di far carriera, per esempio. Quando partecipi ad un’associazione può succedere che l’appartenenza ti aiuti e puoi pensare che, anche se non magari non è vero, questo ti aiuti effettivamente.
Tecnicamente le persone si iscrivono… A qualcosa di pubblicamente riconosciuto?
Se lei va a Lugano, la sede della massoneria ha fuori una grande insegna, addirittura luminosa di notte, e tutti sanno che è la sede della massoneria di Lugano. Ma lo stesso si verifica in Italia. Già allora si sapeva della massoneria in piazza del Gesù e di Palazzo Giustiniani a Roma. Una serie di notizie erano assolutamente pubbliche: chi era il gran maestro, le elezioni eccetera. C’è una differenza notevole tra la P2 e la massoneria. Poi che esistesse anche un coinvolgimento dei vertici della massoneria dell’epoca nella P2, anche questo lo si può dire tranquillamente, nel senso che è un elemento che abbiamo constatato”.
Montanelli, intervistato da Alain Elkann, parlando del capo dell’ufficio romano de Il Giornale di nome Trionfera disse: “Questi era massone, ma non P2”. Ha fatto bene a precisare?
La P2 faceva parte della massoneria, e quando si parla di P2 si parla di loggia deviata. Il problema della P2 di Gelli è che questa aveva dei fini che non avevano a che fare con la massoneria. Cioè credo che vada sottolineato questo aspetto della deviazione della P2 rispetto ad una linea che può piacere o non piacere. Può non piacere la riservatezza, questa riservatezza particolare. Può la riservatezza particolare rasentare o integrare una trasgressione dell’articolo 18, ma è un altro problema, è il problema della riservatezza. La caratteristica invece della P2 retta da Gelli, riguarda da una parte la segretezza ma poi riguarda soprattutto i contenuti. Che stanno nelle carte che abbiamo trovato, nelle varie dichiarazioni”.
A Roma poi come si conclusero i processi per la P2?
A Roma le cose rilevanti sono state archiviate. Il conto Protezione (conto corrente presso una banca svizzera nel quale furono versati circa sette milioni di dollari in favore dell’onorevole Bettino Craxi, numero uno del partito socialista, a titolo di illecito finanziamento) è stato archiviato, quasi tutti i contenuti delle buste sigillate di Gelli non hanno avuto conseguenze penali, salvo alcuni aspetti che hanno riguardato Gelli e alcune persone… Poche. Sostanzialmente pochissime condanne e nient’altro.
Lo stesso poi accade per Mani Pulite
No, per Mani Pulite è un po’ diverso, c’è stata una serie molto molto corposa di processi. E anche una serie di un certo rilievo di patteggiamenti. Allora, chi ha fatto delle statistiche abbastanza attendibili ha potuto constatare che delle 3000 e passa persone per le quali c’è stata una richiesta di rinvio a giudizio, poi il processo si è concluso per il 40% con condanne, comprendendo nelle condanne i patteggiamenti (che tecnicamente non sono condanne), 40% circa di prescrizioni e circa il 20% di assoluzioni. Le quali son state determinate molto spesso dal restringimento di alcuni reati, in particolare il falso in bilancio oppure, dal cambiamento di norme processuali. Poi son state anche assolte persone nel merito, ma io credo che le cause maggiori di assoluzioni siano dipese da queste due circostanze: restringimento dei reati e modifica della regola processuale che consentiva di leggere le dichiarazioni rese da imputati in reato connesso nel corso delle indagini preliminari. Consentiva quindi che divenissero prove queste dichiarazioni fatte nel corso delle indagini senza che fossero ripetute in dibattimento. Questa disposizione è stata cambiata, e perché il giudice potesse usare le dichiarazioni fatte nel corso delle indagini diventava necessario che queste dichiarazioni venissero confermate ribadite e rifatte in dibattimento. E siccome le persone indagate in reato connesso avevano la facoltà di astenersi dal rispondere, in tanti si sono astenuti dal rispondere. E quindi quel materiale è diventato inutilizzabile.
Infine, domande flash. Come definirebbe: Giovanni Falcone?
Ce ne sarebbe da parlare chissà quanto… Lui è stato credo proprio il primo a introdurre dei metodi scientifici nelle investigazioni in campo di mafia. Giovanni è riuscito a scoprire ed è riuscito a fornire le prove del coinvolgimento di tante persone nei reati di mafia proprio perché ha modificato sostanzialmente, nel campo della mafia, il modo di procedere. Il che vuol dire, quando parlo di scientificità delle indagini, cercare e trovare prove che non consistessero in dichiarazioni di persone coinvolte. Che erano dichiarazioni che poi magari nel corso deli anni venivano ritrattate. Molto spesso i processi per mafia si concludevano per insufficienza di prove. Era una persona di una correttezza esemplare, quindi era un bravissimo magistrato sotto il profilo della capacità professionale, una persona molto, molto corretta.
E il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa?
Il generale Dalla Chiesa l’ho conosciuto poco, forse non l’ho mai conosciuto. Aveva sicuramente un alto senso delle istituzioni. Lei sa che è stata trovata la sua domanda di iscrizione – alla P2 ndr. Sospesa. Questa sospensione della domanda secondo me ha un significato nel senso: io credo che nella P2 non si fidassero tanto di lui e quindi l’hanno sospeso, non l’hanno preso. Lui sostiene che aveva fatto domanda per poter entrare e riuscire a capire che cosa fosse questa roba. Non ci sono elementi per dire che non sia vero, come secondo me non ci sono neanche elementi per pensare che invece potesse avere qualche interesse professionale
Se non sbaglio era stato indirizzato da qualche suo collega
Sì, infatti. Secondo me la storia di una persona serve anche a spiegare alcuni episodi della sua vita. Io tendo a credere di più nell’aspetto della curiosità e dell’interesse proprio professionale. Perché testimonia molto il fatto che Dalla Chiesa sia stato ucciso dalla mafia in quel modo. Essendo peraltro stato sostanzialmente abbandonato dalle istituzioni, questo secondo me è un fatto molto significativo. È stato ammazzato l’anno dopo la scoperta della P2, e tra le persone che stavano dentro o intorno alla P2 alcune erano ancora nelle istituzioni. Magari non formalmente, ma l’ambito delle relazioni esisteva. La mia tendenza è quella di dar credito che fosse, così, una volontà di scoprire piuttosto che non l’esigenza di far carriera.
Licio Gelli?
Secondo me era una persona estremamente ambigua, perché era riuscito ad introdursi in tante parti. Fascista, era riuscito a farsi passare poi per partigiano e poi io credo che lo si fotografi meglio rispetto alle mie parole andando a vedere anche soltanto su Wikipedia la sua storia o meglio ancora, perché lì la documentazione è rigorosa e seria, gli atti della commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2, che credo siano disponibili adesso online.
Infine Michele Sindona e il suo collega Turone?
Be’, il mio collega Turone è una persona da cui io ho imparato. Ci sono 5 o 6 anni di differenza tra me e lui, quando io sono entrato in magistratura lui era già giudice istruttore. Estrema capacità investigativa, la sua rigorosissima correttezza professionale. Poi siamo diventati amici. Ci è successo di vivere insieme tante cose anche molto tragiche e dolorose, come l’omicidio di Guido Galli.
Michele Sindona l’ho interrogato, quando ormai era stato estradato in Italia e noi avevamo praticamente concluso le nostre indagini. Quando l’ho interrogato io era un po’ difficile riuscire a mettersi in sintonia domanda e risposta, a collegarle. Mi sembrava una persona che fosse un pochino uscita dalla realtà. È stato accertato inequivocabilmente che lui ha commissionato l’omicidio di Giorgio Ambrosoli – commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, di Sindona ndr – e anche per Sindona secondo me parla la sua storia. Una parte veramente rilevante della quale sta nell’omicidio di Giorgio Ambrosoli, nelle minacce che ha subito prima lo stesso Ambrosoli, poi Enrico Cuccia, e nella gestione delle sue banche. Aveva praticamente sfruttato le banche per creare altre società e usare soldi per altre finalità, come il finanziamento illecito ad alcuni partiti politici. Aveva tradito completamente la fiducia dei risparmiatori. È questa la figura”