Del: 3 Agosto 2016 Di: Angelica Mettifogo Commenti: 1

I segnali che rivelano cosa distingue la mentalità di un gruppo si determinano sulla base di come questo si rapporta con tutto ciò che gli è esterno.

Identificando tale gruppo con una collettività (uno Stato, una Regione, un Comune…), i suoi fondamenti si esprimono attraverso le politiche che adotta. È dunque naturale associare a una condotta politica discriminatoria un’indole ottusa e considerare chiunque promuova ingiustificate differenze di trattamento semplicemente un indifendibile sprovveduto.

E siamo tutti d’accordo sul fatto che non solo parlare di discriminazione in base alla nazionalità — nel 2016 — dovrebbe essere surreale, ma anche che mai e poi mai vorremo aver a che fare con una comunità politicamente esclusivista e culturalmente intollerante; per niente al mondo saremmo disposti a rinnegare i valori democratici di libertà e uguaglianza che ci distinguono.

È ovvio per chiunque che se, per esempio, qualcuno si trasferisse in uno Stato estero per necessità o opportunità di qualsiasi genere, e facendo richiesta al Comune di futura residenza del permesso necessario per averla, scoprisse che i costi per la procedura sono aumentati del 624% per ragioni di carattere velatamente xenofobo, rimarrebbe, se non offeso, quantomeno perplesso.

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ll 19 luglio 2016 i Comuni di Rovato e Pontoglio (provincia di Brescia) sono stati condannati dal giudice del tribunale di Brescia, Andrea Tinelli, per condotta discriminatoria per aver aumentato da 50 a 312 euro (nel caso di Rovato) e da 200 a 425 euro (per Pontoglio) i diritti di segreteria con cui ottenere il certificato di idoneità di alloggio.

Il certificato di idoneità abitativa attesta l’abitabilità dell’alloggio in cui vive la/il cittadina/o straniera/o, ovvero certifica che l’alloggio stesso rientri nei parametri minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica.

In pratica è un documento che serve per stabilire se un edificio sia o meno adatto — in conformità con i parametri previsti dalla legge — ad ospitare un certo numero di persone.

In particolare, è un atto necessario per ottenere il permesso di soggiorno in UE e il contratto di soggiorno con il datore di lavoro, per chiedere il ricongiungimento familiare o la coesione familiare con persone maggiori di 14 anni, e il nulla osta all’arrivo di un lavoratore straniero dall’estero.

In poche parole — come si legge nella sentenza — anche se in linea di principio gli aumenti della tariffa per la richiesta di idoneità di alloggio sono gli stessi per tutti, italiani e stranieri, “è evidente che l’interesse prevalente al rilascio della certificazione riguardi i soli stranieri.” Di qui i presupposti della discriminazione.

Il ricorso è stato presentato da una donna straniera, appoggiata dall’Associazione studi giuridici sull’immigrazione e dalla Fondazione Guido Piccini per i diritti dell’uomo con il sostegno della Camera del Lavoro di Brescia: ora i due Comuni dovranno non solo ripristinare le tariffe per i diritti di segreteria all’importo precedente l’adozione delle delibere che ne sancivano l’aumento, ma anche rimborsare la differenza (di euro 262 il Comune di Rovato e di euro 225 il Comune di Pontoglio) a ciascuno straniero che ha fatto richiesta del certificato di idoneità di alloggio nel periodo di validità delle delibere.

Al di là del gesto ignobile e insensato che porta a constatare che, davvero, possa essere solamente motivato da xenofobia, a lasciare basiti è soprattutto come questa cosa sia stata possibile.

E con “cosa” non intendo l’aumento delle tariffe — per quanto esorbitante, a tutti gli effetti legalmente attuabile — ma mi chiedo, invece, come questo atteggiamento profondamente meschino possa essere stato politicamente tollerato. È un provvedimento ingiustificabile, privo di senso ai limiti dell’assurdo.

Perché mai il sindaco di un Comune dovrebbe dissuadere un cittadino dall’abitarvi? Per una sorta di nazionalismo? Sarebbe grave. Per allontanare i temuti “immigrati irregolari”? Sarebbe imbarazzante se non fosse stato chiaro che quella delibera avrebbe danneggiato qualsiasi potenziale futuro residente (regolare e non, straniero e non) e che un immigrato irregolare che chiede un certificato di idoneità alloggiativa, forse, ha intenzione di non esserlo più.

Perché un’amministrazione comunale che non ha saputo porsi o sensatamente rispondere a simili domande può, invece, dirigere un Comune?

Per di più, il Comune di Pontoglio recentemente è stato chiamato a processo anche per un altro scandalo.

Nel mese di Dicembre 2015, il sindaco Andrea Seghezzi aveva optato per una singolare segnaletica: al cartello stradale che indica il nome del comune, ai confini di Pontoglio, aveva fatto una piccola aggiunta. Il segnale annesso — ora rimosso — riportava le seguenti parole: «Paese a cultura occidentale e di profonda tradizione Cristiana. Chi non intende rispettare la cultura e le tradizioni locali è invitato ad andarsene».

Ci sarebbe da ridere se non fosse vero.

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Ora, era chiaro che un cartello di questo tipo avrebbe avuto vita breve; come si legge nella sentenza “il punto non è se tale proposizione corrisponda o meno al vero, la questione è che detto stato di cose, ammesso che sia tale, non può essere strumentalizzato da un ente pubblico per ostacolare o condizionare, foss’anche nella semplice forma della persuasione, il libero esercizio dei diritti costituzionali da parte di coloro che non si riconoscono nel substrato culturale del Comune.”

Il problema vero non sta soltanto nel cartello in sé, che per forma e contenuto avrebbe potuto essere stato scritto dal primo imbecille di passaggio — e di bestialità simili sono piene da tempo le strade di tutte le città. Il problema serio è che questo cartello è stato pensato, scritto, finanziato, da un intero organo comunale. È stato sostenuto da un sindaco, dal primo cittadino, da chi rappresenta la città. Oltre al non troppo implicito integralismo contenuto nelle frasi, il messaggio è anche falso: in base a cosa il Paese ha cultura occidentale e una profonda tradizione Cristiana? Hanno fatto un’indagine statistica?

Nelle vesti del suo ruolo, il sindaco Andrea Seghetti, non può sostenere questo tipo di progetto.

A muovere l’indignazione è principalmente la pretesa che il messaggio sia rappresentativo della comunità. Se questa ha interesse per come viene rappresentata, è bene che si impegni per controllare che chi ha questo ruolo lo svolga a dovere. Il pericolo è che, come in questo caso piccolo ma indicativo, il sistema di democrazia rappresentativa fallisca.

 

Angelica Mettifogo
In bilico tra tutto quello che voglio fare e il tempo che ho per farlo. Intanto studio filosofia.

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