Del: 23 Settembre 2016 Di: Nicolò Tabarelli Commenti: 0

Rachel Lang è una regista di Strasburgo. Dopo gli studi di filosofia all’università Marc Bloch nella sua città natale, si è iscritta all’“Institut des arts de diffusion” a Lovanio. Il suo primo corto “Por toi je ferai bataille” ha vinto il leopardo d’argento all’edizione del 2010 del festival di Locarno. “Baden Baden”, del 2016, è il suo primo lungometraggio

“Baden Baden” è il tuo primo lungometraggio. Rispetto a girare un corto quali sono le differenze? E più difficile?

Non penso che sia più difficile, c’è solo più pressione, perché i costi sono molto diversi e il produttore deve raccogliere molti più fondi. Io, però, ho lavorato quasi con la stessa squadra di attori e tecnici con cui ho lavorato nei due corti quindi l’atmosfera era molto famigliare. L’unico aspetto per cui girare un lungometraggio è veramente più gratificante rispetto ai corti è che quando giri per sei o sette settimane non succede che le riprese terminino proprio quando hai finalmente preso il ritmo. Coi corti succede sempre ed è frustrante.

Il personaggio di Ana è molto profondo, ma anche gli altri personaggi, penso a Boris e alla nonna, sono straordinariamente “veri”. Sono personaggi attinti dalla tua biografia?

Sì ho costruito la protagonista senza inventarla da zero, basandomi su persone che conosco. Ognuno dei personaggi del film è una fusione di aspetti del carattere di diverse persone che ho incontrato. Il carattere della protagonista poi, è stato costruito, fin dal primo film “Pour toi je ferai bataille”, sul carattere dell’attrice protagonista di tutti i miei film, Salomè Richard. Sapevo che avrei scritto la parte di Ana per lei e quindi il carattere di Ana rispecchia anche il suo.

In sala hai raccontato che sia la protagonista sia Boris e la nonna appaiono nel corso dei tre film. Perché ci sono dei personaggi che ritornano?

Perché c’è una continuità. La protagonista è sempre la stessa. Sta crescendo (nel primo film il personaggio Anna Och ha 19 anni, in “Baden Baden” ventisei N.d.R.) e sta cercando di diventare adulta, quindi ci sono alcune figure importanti per lei che ritornano. La nonna non appare nei corti precedenti, viene semplicemente citata, mentre Boris, che è la sua storia d’amore più importante, più lunga, ma nanche più deleteria, non può che apparire in tutti i film.

Alla fine “Baden Baden” rappresenta una promessa non mantenuta, perché Ana promette alla nonna di portarla alle terme di Baden Baden, ma la nonna purtroppo muore prima che lei riesca a portala alle terme. Perché hai scelto “Baden Baden” come titolo del film?

Pensi che andrai a Baden Baden nel corso del film e lasci il film pensando che andrai ad Aubagne con l’ultimo personaggio Amar ma nessuno dei due posti sarà raggiunto. Si tratta di un ragionamento sul posto in cui decidi di andare quando cresci e decidi di seguire la tua strada. Così Baden Baden sarebbe potuta essere una possibilità, ma non è una promessa non mantenuta, è semplicemente una battuta tra nonna e nipote, perché la nonna preferisce rimanere intrappolata tutta la notte nella vasca piuttosto che portarsi dietro il cercapersone per dare l’allarme. Allora Ana le dice “non essere stupida, se vuoi rimanere tutto il giorno nella vasca ti porterò alle terme di Baden Baden”.

Con la nonna sarebbe dovuta andare a Baden Baden e con Amar ad Aubagne, quindi i cambi di percorso e la formazione di Ana avvengono attraverso le persone che incontra?

Volevo costruire Ana con gli altri protagonisti e lei è la somma di questi incontri, e ogni nuovo incontro la influenzerà in qualche modo. Volevo che i co-protagonisti apparissero importanti quanto Ana perché sono loro a formare quello che lei diventerà. Il valore dei co-protagonisti messi insieme è uguale a quello della protagonista.

Un aspetto molto interessante di questo film è che pur raccontando un frammento di vita doloroso riesce a rimanere leggero e al contempo profondo. Come si riesce ad ottenere un tale equilibrio in un film?

Volevo che le persone uscissero dalla sala piene d’energia e con gioia. Il riferimento che ho è Spinoza. Spinoza scrive che per ottenere la felicità e la libertà bisogna essere attivi e non passivi. Bisogna cercare di comprendere le proprie relazioni con le altre persone ed uscirne rafforzati. Ogni volta che riesci a non essere passivo agli eventi esteriori, ma li affronti, in qualche modo stabilisci un dominio su di loro e questo accresce la tua gioia, la tua forza vitale. Si tratta di riuscire a staccarsi da un posto e scoprirne un altro, di riuscire a cambiare prospettiva e di analizzare cosa ti ferisce e perché ti ferisce e avere un atteggiamento positivo riguardo al dolore.

Quindi hai un’attitudine positiva verso la vita?

Sì! Però bisogna lavorarci. Bisogna lavorarci tutta la vita.

Il fatto che la nonna muoia poco dopo che è stato ultimato il bagno rappresenta quella sottile crudeltà della vita per cui si profonde impegno per uno scopo, che quando viene finalmente raggiunto perde il suo significato?

No. Oltre al successo materiale di aver costruito un bagno, per lei si è trattato di un grande percorso personale, anche se la nonna non potrà mai usare il bagno. Lei riesce a costruire un bagno è già questo è meraviglioso. Ma la cosa importante non è lo scopo, la cosa importante è semplicemente essere attivi, aumentare la propria gioia, fare nuovi incontri. La questione non sta nello scopo per cui costruisce il bagno,

Il fratello sembra meno sensibile di Ana, è per questo che ha un lavoro più stabile e nella vita riesce meglio?

La differenza tra Ana e il fratello è che lei ha il coraggio di sperimentare, ma sono semplicemente due stili di vita diversi, non c’è un giudizio sul valore dell’uno o dell’altra. Ana si prende cura della nonna perché è in crisi, non sa cosa fare, non ha un posto dove andare, ha perso il lavoro. Lo fa solo perché deve tenersi occupata, non ha una statura morale superiore a quella del fratello.

Nell’ultima scena, Ana ed Amar sono seduti davanti alla cappella di Notre Dame du Haut. Ana spiega ad Amar che sia lui sia la cappella le danno forza. In cosa si assomigliano e in cosa differiscono la forza che le dona Amar e quella che trae dalla cappella?

La cappella è un’opera che è stata pensata in una singola mente (quella di Le Corbusier N.d.R.), ma ha richiesto l’accordo e la collaborazione di molte persone affinché venisse costruita. Ana percepisce un significato in questa collaborazione che ha reso possibile la realizzazione di una grande opera architettonica.

Amar, invece, sta lasciando la sua vita per arruolarsi nella Legione Straniera. Si tratta di una scelta radicale, perché quando ti arruoli in quel corpo perdi per cinque anni qualsiasi diritto civile. Non puoi sposarti, né avere figli, né acquistare case e l’esercito francese esercita qualsiasi diritto sulla tua vita. L’incontro con Amar le dà forza perché lui è stato capace di prendere una decisione difficile senza esitazione, mentre Ana non è capace di fare scelte in questo momento. Inoltre Amar è l’unico uomo del film con cui Ana non abbia avuto una tensione sessuale e lui è molto riservato e queste caratteristiche affascinano molto Ana. Per tutta la durata del film, se escludiamo quando decide di costruire il bagno, Ana è sballottata a destra e a manca dagli altri personaggi. Amar dà la forza ad Ana di prendere l’iniziativa e portarlo alla Cappella di Notre Dame du Haut.

Quali sono i tuoi progetti futuri? Incontreremo ancora i personaggi di questo film?

No, la trilogia è finita. Il prossimo film sarà sulla Legione Straniera, un corpo d’elitè dell’esercito francese. Amar sarà il collegamento tra questo film e il prossimo. Ci saranno un gruppo di donne che si recano in Corsica per piacere e gli uomini che hanno raggiunto la Corsica, dove ha sede la base della Legione Straniera, per arruolarsi ed andare in guerra. Sarà un film dalla doppia prospettiva.

Zelante burocrate zarista, più per dispetto che per convinzione.

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