Dennis Galimberti
E’ finalmente arrivata la tanto attesa tregua nel conflitto che da oltre due anni imperversa nell’Est dell’Ucraina e che finora ha causato 9500 morti.
Il leader dei ribelli della regione di Donetsk, Zakharchenko, ha annunciato il cessate il fuoco unilaterale alla televisione russa a partire dalla mezzanotte del 13 settembre che sembra dunque, per la prima volta, distendere gli animi tra i due schieramenti. Zakharchenko ha però rimproverato il governo di Kiev per “la mancanza di volontà a risolvere il problema in modo pacifico”.
Già nel febbraio 2015 si tentò una risoluzione grazie agli accordi di Minsk tra Russia e Ucraina, suggellati da Francia e Germania, che non sono però stati rispettati da nessuna dalle parti. I ribelli ora accettano gli accordi, indicandoli come l’unica soluzione possibile e invitando il governo ucraino a fare altrettanto.
Il conflitto è la conseguenza del cosiddetto Euromaidan, in occasione del quale centinaia di migliaia di studenti e cittadini ucraini erano scesi in piazza per protestare contro la politica di allontanamento dall’Unione Europea voluta dall’allora primo ministro Janukovic. Gli obiettivi di queste proteste sono aumentati, concentrando l’insoddisfazione del popolo ucraino sulla dilagante corruzione e la violazione dei diritti umani nel paese, con i protestanti che chiedevano le immediate dimissioni del leader. Gli avvenimenti hanno portato a numerosi sconvolgimenti, in primis nei rapporti tra Russia e Ucraina e successivamente nelle zone Est del paese, dove da ormai intere generazioni l’etnia russa è presente in forte quantità.
Dopo la fuga dal paese del già citato Janukovic nel febbraio 2014, il governo di indirizzo filo-russo muta in un altro indirizzo – filo-europeo – che prende provvedimenti volti a garantire maggior collaborazione con i paesi dell’UE e maggior spazio alla componente ucraina.
Uno di questi prevede l’abolizione dell’insegnamento del russo nelle scuole: è per questo motivo che la popolazione di etnia russa aveva protestato, indicando che l’Euromaidan non aveva altro scopo oltre a quello di formare un governo nazionalista.
Le regioni di Luhansk, di Donetsk e della Crimea proclamano l’indipendenza e la Russia mobilita le proprie navi da guerra nel porto di Sebastopoli sul Mar Nero e le proprie truppe al confine ucraino, con lo scopo ufficiale di “proteggere la popolazione russa in Crimea”.
Il 16 marzo 2014 la Crimea indice un referendum per l’indipendenza dall’Ucraina e l’annessione alla Russia: questa regione, in particolare, accoglie una popolazione di matrice russa pari al 65%. Il referendum si conclude col 97% dei voti favorevoli all’annessione alla Russia.
Le votazioni vengono subito condannate dal governo centrale in quanto anticostituzionali e il risultato non viene accettato dai paesi membri dell’ONU.
La Russia, dal canto suo, accetta gli esiti del referendum e ripristina il controllo su questa importante zona, strategica sia dal punto di vista militare che dal punto di vista economico.
Il conflitto – che si è protratto fino ad oggi nelle altre regioni che vogliono ottenere l’indipendenza – ha conosciuto brevi tregue, che non hanno portato a nulla, se non schermaglie tra i due schieramenti, come le regioni di Donetsk e Luhansk, che nel 2015 hanno addirittura introdotto come moneta ufficiale il rublo russo e hanno vietato alle compagnie aeree ucraine di sorvolare il paese.
Questo stallo sembra essersi risolto anche grazie alle dichiarazioni del presidente della Repubblica ucraina Poroshenko, che ha invitato il Parlamento a garantire maggior autonomia alle province, comprese quelle ribelli, a cui è seguito pochi giorni dopo l’annuncio del cessate il fuoco nella regione di Donetsk, a cui ha fatto eco Luhansk.
Solo il tempo ci dirà quale soluzione verrà adottata – soprattutto nelle zone orientali del paese – e a quali conseguenze porterà nei rapporti tra Putin e Kiev, una situazione che, fino al momento della sua risoluzione, rimarrà in bilico.