Del: 13 Ottobre 2016 Di: Giacomo Fazzini Commenti: 0

Servillo ci riporta nella Parigi invasa dei primi anni Quaranta: mentre fuori imperversa il caos nazista,  il regista-maestro Louis Jouvet (Toni Servillo) è impegnato con la messa in scena del Don Giovanni di Moliere. Tre giovani studenti di teatro ( Petra Valentini, Francesco Marino, Davide Cirri) si dividono il palco, ma l’attenzione di Jouvet ricade sul monologo dell’attrice, Claudia.

Così si svolge l’insegnamento in sette lezioni, nell’arco di un anno,  che porta allo svisceramento di un personaggio: Donna Elvira, ex sposa e amante del nobiluomo siciliano che, una volta ritrovata la fede, torna ad avvertire lo sciupafemmine di un immane pericolo, sperando in un pentimento. Elvira irrompe quindi in un monologo, nell’atto IV, ritenuto dal regista francese “il più bello e complicato del teatro moderno”: queste poche righe di testo porranno non pochi problemi alla giovane attrice, che non riesce ad emozionare il pubblico.

Jouvet stupisce i suoi allievi, insegnando un teatro non del metodo ma della passione, dell’emozione.

La ricerca della perfezione tecnica, ritenuta dal regista francese indispensabile ma vuota se non contestualizzata, si subordina al rapporto che l’attore deve trovare col personaggio. Il ritorno a una recitazione più naturale, incosciente nella sua essenza, non è immediato per Claudia, che alterna momenti di insicurezza ad una timida audacia e la sua fretta causa spesso reazioni anche violente in Jouvet, il quale non esita a lasciarsi trasportare dal suo genio creativo, follemente trascinante.

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Da un Testo di Brigitte Jaques (Sette lezioni di Louis Jouvet a Claudia sulla seconda scena di Elvira nel “Don Giovanni” di Molière) , Servillo propone una riflessione meta-teatrale sulla natura dell’attore, esplorando il dualismo tecnica-immedesimazione che ha contraddistinto le regie di Jouvet, uno dei massimi teorici di teatro del ‘900. Al Teatro Piccolo Grassi dall’11 Ottobre. 

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