Del: 30 Novembre 2016 Di: Susanna Causarano Commenti: 0

Il 7 novembre gli studenti che lavorano per  Foodora si sono riuniti in assemblea nell’aula 109 della sede della Statale di Festa del Perdono.  Lo scopo era di confrontarsi e fare gruppo in vista di nuove battaglie da combattere contro la dirigenza dell’azienda.

Foodora è una sottocorporation di una multinazionale tedesca, Delivery Hero, il manager di Foodora Italia, Gianluca Cocco, che viene da Amazon, fa capo direttamente alla Germania.  Ci siamo fatti spiegare da due ragazzi, che hanno lavorato per Foodora Milano e Foodora Torino, i motivi della protesta che sta montando contro quest’azienda.

Si è parlato parecchio della vostra protesta. Spieghiamo ai nostri lettori cos’è successo. 

Stefano: I riders di Foodora  (così si chiamano i ragazzi che percorrono la città in bicicletta per portare le consegne, NdR.) di cui anche io ho fatto parte, sono entrati in azienda ricevendo un fisso orario di dieci euro. Una sorta di “offerta lancio” visto che dopo poco si è scesi a sette euro orari a Milano e cinque a Torino, dicono che (la differenza nei pagamenti NdR) sia proporzionata al costo della vita. Da settembre di quest’anno i contratti sono passati al pagamento a consegna. 2,70 a consegna per Torino, 3,70 a Milano. La protesta è partita da qui.

Un ritorno al cottimo. Come funziona?

Stefano: L’organizzazione delle consegne è gestita dai dispatchers (distributori, NdR) tramite un gruppo cittadino, prima su Whatsapp ora su Telegram, dove puoi segnalare problemi e comunicazioni. A Milano in quel gruppo eravamo in 200, un caos. Fondamentalmente ti rechi in uno dei punti di ritrovo dei riders e aspetti che ti chiamino. Non succede sempre però perché, furbescamente, l’azienda colloca più rider del necessario in una certa area per essere certi di coprirla. Se però non lavori nessuno ti rimborsa il tempo che hai donato gratis. Le spese di manutenzione della bicicletta sono dei lavoratori, il rischio d’impresa è sulle loro spalle.

Marco: Foodora spende molto in pubblicità e promozione, poco sul lavoratore che anzi, viene gravato di responsabilità mascherate dal farlo sentire un bravo impiegato, fedele all’azienda, da premiare, se soddisfa il cliente.

Non scherzo, hanno addirittura istituito un premio per i tre rider del mese, valutati in base ad un minimo di consegne fatte, alla soddisfazione del cliente, che non è molto valutabile visti che i suddetti ci vedono sì è no per trenta secondi, e altri requisiti. Insomma, un modo bambinesco di rapportarsi coi dipendenti, oltre che agghiacciante.

Come vi siete uniti per rivendicare i vostri diritti?

Stefano: Ci siamo parlati, è stato bello vedere tanta solidarietà in un ambiente che istiga alla competizione e non certo al confronto e allo scambio fra lavoratori. Abbiamo redatto una lettera ai capi e indetto uno sciopero. Per due mesi la dirigenza è fuggita, solo a fine ottobre ha organizzato un incontro in un centro congressi di Torino, scegliendo ora, giorno, luogo e partecipanti, dove, per farvi capire il clima, hanno perquisito i rider. I rider intervenuti sono stati chiamati e scelti tra quelli assunti all’epoca in cui ancora erano attivi i salari orari per, cito testualmente, “discutere positivamente dei benefici della flessibilità del pagamento a consegna.”

 

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Qual è stato il comportamento dell’azienda in merito alla questione?

Stefano: Pessimo. Abbiamo riscontrato parecchie problematiche.

Come dicevo la competizione e la promozione di essa sono parole chiave in Foodora, il cottimo è solo l’ultimo stadio. Dicevo prima dei premi, che sono solo la punta dell’iceberg.

Il problema vero sta nei contratti, nel lessico e nella forma con cui vengono stipulati. I turni non sono mai chiamati così, ma slot, per allontanare dal collegamento turno-lavoro salariato.

La dirigenza ha ribadito più volte che, essendo garantito un minimo di due consegne all’ora, con tre e settanta a consegna  si portano a casa più di cinque euro in un’ora.

Peccato che ignorino, volutamente, che le due consegne all’ora sono tutt’altro che garantite.

Un altro punto è quello della subordinazione. Tutti i rider sono a contratto co.co.co. che, per come sono strutturati, non prevedono che il lavoratore abbia obblighi o che sia soggetto a sanzioni disciplinari.

In realtà le sanzioni esistono e vengono appioppate in maniera esemplare. L’applicazione di queste sanzioni fa capire la struttura della scala gerarchica.

Abbiamo screen del direttore di Foodora Italia che dice cose come “che serva d’esempio a tutti” e simili.

Questi screen, insieme a telefonate che stiamo valutando come usare, sono fondamentali per la nostra battaglia.

Il co.co.co. ( Contratto di collaborazione coordinata e continuativa NdR.), per come è strutturato, permette al datore di sospendere senza giustificazioni proprio in virtù della flessibilità,  non tutelando per nulla il lavoratore che si ritrova alla mercé dell’azienda, impossibilitato a esigere diritti.

Marco: La flessibilità tanto sponsorizzata come un “con noi lavori come, quando e dove vuoi” è un inganno.

L’accordo tra le parti è la base di un rapporto di lavoro e il lavoratore deve poter sapere date e orari di lavoro, in modo da avere qualcosa in mano se quel giorno non viene chiamato. Invece capita di essere chiamati alle 17 per il turno delle 18, che sia per annullarlo o per confermarlo.

È puro caporalato. In che altro modo si può  definire un gruppo di lavoratori che aspetta per un turno?

Mi è capitato di ricevere telefonate mentre aspettavo al punto di raccolta, in cui mi veniva detto “vai a casa, ordini dall’alto.” Questa presunta flessibilità meritocratica è fasulla perché soggetta ad una simpatia nei confronti del rider da parte dell’azienda. Di per sé è tragica perché chi è più fedele lavora di più.

Io ho protestato più volte, ora non mi chiamano più. La voce è che esista una blacklist di rider da non chiamare, dove ovviamente figurano i più impegnati nella protesta.

Concretamente Foodora cos’ha risposto? A mezzo stampa dichiara di essere disponibile al confronto.

Marco: L’agognato confronto è arrivato

Loro hanno deciso luogo dato e orario, e hanno scelto chi invitare, ovvero i lavoratori assunti col contratto orario a 5 euro per discutere in clima positivo dei vantaggi del passaggio a cottimo con 4 euro a consegna.

Il discorso del cottimo è quello su cui puntare, non si tratta solo di soldi, ma è un problema di natura etica. Spaventa constatare la personalità dei capi: quando ci siamo relazionati con loro poco tempo fa, ad un incontro, è saltato subito all’occhio che hanno una buona formazione, ma sono del tutto incapaci di gestire un confronto sociale coi lavoratori.

Foodora non legittima un sindacato, abbiamo presentato una lettera ufficiale  di convocazione ad un tavolo di discussione, ma loro non riconoscono alcun sindacato e appaiono meno disposti al dialogo di quanto dicono.



 

La loro insufficiente professionalità deriva da forme idiosincratiche, verso parti politiche e categorie specifiche.

Ti racconto un aneddoto colorito: pare che uno dei due amministratori delegati una volta abbia perso la pazienza e ci abbia definiti i soliti anarcoinsurrezionalisti, solo perché non ci sembrava adeguata la soluzione da loro proposta di alzare anche a Torino la tariffa a consegna a tre e settanta come a Milano. Sono cattedratici e arroganti, sul piano verbale li abbiamo distrutti, Persino Cesare Damiano, politico ed ex-sindacalista, ha detto loro di non comportarsi così, perché corrono il rischio di essere veramente indifendibili.

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La protesta prosegue?

Marco: Sta un po’ scemando l’entusiasmo iniziale, stiamo cercando di mantenerla viva con l’istituzione in ogni punto di raccolta dei rider di un gazebo con materiale informativo, cibo e acqua oltre a numerose iniziative di aggregazione. Siamo in contatto con Deliveroo in Francia e Belgio e con il sindacato tedesco. Nemmeno i ristoratori sono grandi amanti di Foodora visti che si intasca il 20-30% dell’importo, in base agli accordi. Chissà che non ci appoggino!

Susanna Causarano
Osservo ma non sono sempre certa di quello che vedo e tento invano di ammazzare il tempo. Ma quello resta dov'è.

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