
Foto di copertina di Camilla Scarpa
Il cinema italiano pare in grande rispolvero di questi tempi. Film non abbiamo mai smesso di farne, ma non tutti si sentono rappresentati dalle commedie stile Vanzina, che pure raccontano un’Italia reale. I David di Donatello conferiti ad attori e registi di pellicole come Lo chiamavano Jeeg Robot, diretto dall’esordiente Gabriele Mainetti, Non essere cattivo del già noto e purtroppo defunto Claudio Caligari e Perfetti sconosciuti di Fabio Genovese, hanno creato attorno al cinema italiano una narrazione positiva che ha il sapore della rinascita, quasi che il nostro cinema sia stato, per un lasso di tempo non meglio precisato, come un ragazzo molto intelligente ma senza voglia di applicarsi.
Per capire se si può continuare su questa strada abbiamo intervistato Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, registi classe 1981, ora sulla cresta dell’onda con il film Mine, destinatario di numerosi consensi da critica e pubblico. Con questo lungometraggio i due registi hanno dimostrato che anche gli italiani possono fare bei film d’azione, specie se per protagonista hanno l’ironico e qui molto intenso Armie Hammer, ovvero il protagonista Mike Stevens, un soldato costretto a rimanere inginocchiato sulla mina per oltre cento minuti di film.
Partiamo dal principio per chi non vi conosce. Chi eravate prima di Mine?
Guaglione: Due amici che si conoscono dal liceo e che hanno cominciato subito dopo il diploma a fare i primi cortometraggi. Pian piano siamo diventati sempre più professionali, abbiamo aperto la nostra casa di produzione, la Mercuriodomina e ci siamo fatti conoscere ai festival italiani, come per esempio nel 2004 al Milano Film Festival con Eden, e internazionali. True Love invece è stato il primo cortometraggio che abbiamo scritto e prodotto, a basso budget. Siamo cresciuti con il cinema degli anni ‘80 e ‘90 e amiamo molto i manga. Ci piace molto mescolare Occidente e Oriente.
Com’è nato Mine, film europeo apparentemente americano?
Guaglione: In un periodo immediatamente successivo ad una serie di buchi nell’acqua. Il mondo del cinema in fondo era per noi un bel campo minato. Quando abbiamo presentato al produttore di Buried, che aveva visto i nostri corti e gli erano piaciuti, il soggetto di Mine, siamo entrati anche noi nell’esperienza vissuta da Mike.
Il soggetto è nato da un nostro momento di blocco e per portarlo avanti, per sbloccare Mike, abbiamo dovuto sbloccarci noi. Non potevamo farlo muovere da lá sopra e tenere alta la tensione non è stato facile.
Per quanto riguarda la dialettica americano-europeo, siamo abituati al fatto che un film realizzato con una buona tecnica, pieno di effetti speciali, con buona fotografia e montaggio curato provenga da oltreoceano. Mine è semplicemente il nostro film ed è certo che l’occhio europeo si rivela man mano che il film procede.
Resinaro: C’è da dire che abbiamo impiegato un anno per arrivare alla stesura che soddisfacesse il produttore americano della Eagle Pictures. Poi sei mesi per mettere insieme il budget, tra produttore e finanziamenti da Italia e Spagna. Il deserto dov’è ambientata la maggior parte del film si trova a Fuerteventura, visto che alle Canarie ci sono grossi incentivi fiscali. Non a caso anche molto prodotti holliwoodiani vengono girati lá. L’impresa, oltre trovare il nome grosso per l’attore protagonista, è stata strutturare la sceneggiatura arricchendola di colpi di scena e flashback in modo che non si percepisse alcuna staticità. Mike ha fatto più passi stando su quella mina per delle ore che sembrano interminabili, che in tutto il resto della sua vita. E noi con lui.
Mine ha molti archetipi della narrazione quasi fiabesca. La coscienza e il bene incarnati in un essere goffo. Il protagonista che cerca di ritrovare sé stesso. Che significato ha Mine?
Resinaro: Mine indica al tempo stesso “mio” e la mina. Parla di tutta una serie di fantasmi da cui il protagonista si deve liberare e che crede facciano parte del suo Io. In realtà nulla di tutto ció che lo tormenta fa parte di ció che è, sono solo cose che lui ha e dalle quali si deve liberare.
Guaglione: Mine inoltre ha praticamente le stesse lettere della parola Mike. Più la storia procede più entri nella testa di Mike e rivivi le sue esperienze più, da spettatore, vi sovrapponi le tue. Mentre guardo il film rileggo anche dentro di me, nel mio. Mine, quindi. Gli archetipi fiabeschi erano nella nostra mente fin dalla prima stesura. Il berbero con la figlia che incontra Mike rappresentano una sorta “gatto e la volpe”, il soldato amico del protagonista è il grillo parlante.
Nel film è presente una certa dialettica occidente-oriente, identificata in due personaggi chiave. Il primo ha perso la libertà in favore delle catene del progresso. Il secondo conserva una certa sacralitá, propria della sofferenza, di cui abbiamo addirittura bisogno per sperare in una redenzione.
Guaglione: Ci tenevamo a non fare un film sociale sulle mine antiuomo. Non si capisce di che guerra si parla, dove si trovino i protagonisti. Essendo un film incentrato su una condizione interiore, l’incontro tra lui e il berbero rappresenta un incontro tra due modi di pensare, tra due culture. L’occidente, maggiormente legato al possedere, l’oriente all’essere. La struttura del film lascia volutamente spazio alla libera interpretazione e i vari personaggi possono essere considerati sia in carne ed ossa, sia come frutti della mente di Mike. Sul web leggo già varie teorie in proposito e la cosa mi fa impazzire!
Resinaro: Non a caso lui è un soldato, quindi tenuto a rispettare le regole, ma si ritrova a fare delle scelte contro gli ordini e mostra uno sguardo aperto al mondo che lo circonda. Cerca di mettere ordine nella sua vita obbedendo agli ordini di qualcun’altro, si arruola per superare un passato che deve affrontare, ingabbiandosi cosí sempre di più. Il berbero con quelle che possono sembrare frasi fatte, lo aiuta in questo processo di distacco e liberazione. Il berbero incarna una cultura slegata da un certo sistema cui noi siamo abituati. È terreno e spirituale al tempo stesso.
Le colonne sonore ricordano quelle monumentali di Jarre.
Guaglione: Vengono da Andrea Bonini, altro nostro ex-compagno di liceo, che ha seguito questo progetto fin dai primi vagiti, scegliendo con noi suoni, melodie, incisioni e mix. Volevamo che in ogni scena la musica fosse un ulteriore chiave di lettura della stessa. Il lavoro è chiaramente cominciato a montaggio in corso e ciò implicava una risistemazione continua.
Nei vostri sogni, con quali attori vi piacerebbe lavorare?
Entrambi: Tra gli italiani sicuramente con Pierfrancesco Favino.
Resinaro: Con Viggo Mortensen, Tilda Swinton, Michael Keaton e Casey Affleck. Sarei felicissimo anche se girassi con uno solo di loro!
Guaglione: A me piacerebbe molto lavorare con il mio mito d’infanzia, Tom Cruise, l’eroe di Top Gun. Poi direi Denzel Washington, Brian Cranston e l’immensa Meryl Streep.