Del: 17 Dicembre 2016 Di: Carlotta Ruocco Commenti: 0

Milano. Dal 14 al 18 dicembre 2016 (non) avrà luogo allo Scalo Milano, nell’unità 115 dedicata all’arte, la nuova personale del fotografo Settimio Benedusi.

Settimio Benedusi nasce ad Imperia nel 1962 e si trasferisce nel capoluogo lombardo non ancora ventenne. Fotografo, giornalista e docente universitario, concepisce l’arte del fotografare in maniera del tutto innovativa, scardinando la canonica concezione della foto come diretto risultato del click del fotografo.

La performance artistica colpisce per un “semplice” dettaglio: non esiste. O meglio, esiste il significato ma non il significante. Le pareti dello Scalo accoglieranno i visitatori spoglie, bianche, pronte ad essere riempite con i volti degli astanti che ricoprono il ruolo di unici ed autentici protagonisti.

Sarà dunque il pubblico a creare la mostra, nientemeno che con le sue espressioni e i suoi sorrisi. Una volta entrati, gli ospiti saranno fotografati e il loro ritratto, stampato sul momento, sarà appeso al muro a costituire l’essenza fondamentale dell’esposizione.

Dietro a tutto questo il pensiero del fotografo. “[…] noi come persone, ma soprattutto noi come fotografi, non siamo nulla se non in rapporto con gli Altri. Gli Altri siamo Noi” spiega Benedusi, compiendo un importante passo indietro nei confronti dell’altro.

L’idea di fondo è quella di focalizzare l’attenzione su chi è estraneo a noi, ma che con noi interagisce, annientando la mentalità egocentrica di coloro i quali volgono lo sguardo sempre e solo verso se stessi. Il mondo è un sistema bidirezionale, di reciproca partecipazione ed adesione.

 

Se nessuno si recasse a visitare la mostra, è ovvio, essa non avrebbe ragion d’essere. Siamo noi, tutti noi visitatori attenti e appassionati, condizione necessaria alla sua fondatezza e diffusione.


Si potrebbe pensare che questa forma mentis, forse sin troppo pragmatica, tradisca quell’aura intangibile che circonda l’Arte in quanto tale e cioé che le opere d’arte non debbano esistere per essere ammirate dal pubblico, né tanto meno per motivi ancora più pratici ma solo in quanto concreta espressione del genio artistico, è al di fuori di ogni dubbio.

È altresì vero che le mostre, i concerti, il cinema perderebbero il loro valore: appassionare il prossimo, spaventarlo, coinvolgerlo in un mondo che finora gli era del tutto alieno è innegabilmente un traguardo appagante.


L’idea di vivere un’esistenza basata su noi stessi, egocentrica e presuntuosa, è oltretutto surreale: l’Io tanto studiato e interpellato per natura tende a legarsi, a dipendere da un “altro-da-sè”, ad essere influenzato e ad influenzare a sua volta.

“Per passare per maestro della fotografia”, sostiene il padre della mostra, “basta essere dei personaggi”: nient’altro se non il carattere e la determinazione, nessuna particolare abilità in merito.

Con queste parole, colme di intento provocatorio, Benedusi annichilisce l’arroganza di chi concentra l’arte (e in generale la vita) sulla propria persona, svilendone il “super-Ego” e dando adito a un legame infrangibile tra l’artista e lo spettatore, tra l’Io e il Tu. 

Carlotta Ruocco
Sono nata a Lecco nel 1995 e - circa da quando ne ho facoltà - scrivo. Ho iniziato con gli scarabocchi sul muro della cameretta, poi ho deciso che avrei voluto farne un mestiere. Ci sto lavorando. Nell’elenco delle mie cose preferite al mondo ci sono le colazioni all’aperto, i discorsi pieni e le copertine di Internazionale.

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