Immaginate di essere a Rimini nel 1968. Le TV e i giornali parlano delle rivolte studentesche, il cui teatro sono le piazze, del boom economico, della musica pop e della Primavera di Praga. Ma c’è di più. In conferenza stampa si parla di una cerimonia, una dichiarazione di indipendenza.
Il Primo maggio del 1968 nasce la Repubblica delle Rose, un’isola a 11 km e 500 metri dalla costa adriatica. Si tratta di uno stato indipendente, situato in acque internazionali, nella cosiddetta terra di nessuno, tra l’Italia e la Jugoslavia di Tito.
Ma facciamo un passo indietro. Giorgio Rosa, classe 1925, studia ingegneria meccanica a Bologna, dove si laurea ed esercita la professione. Sempre a Bologna conosce Gabriella Chierici, sua moglie: con lei condividerà l’idea della Repubblica delle Rose.
Il progetto di Rosa prevede una piattaforma di 400 mq di ferro e cemento, questa si sarebbe retta su un telaio di tubi in acciaio ben saldato al fondale marino, infatti l’acqua nei tubi cavi avrebbe reso la struttura stabile.
Dai primi sopraluoghi del 1958 all’inagurazione ufficiale dell’Isola passano quasi dieci anni. Ma quello che sembrava un progetto di fantapolitca, un’utopia alla Thomas More, diventa realtà.
La Repubblica delle Rose è una micronazione, uno Stato che si è reso indipendente tramite una dichiarazione unilaterale. Ha una bandiera dove vi sono rappresentate tre rose rosse con gambo verde sul campo bianco di uno scudo, una moneta, i Mills (il cui tasso di cambio è 1:1 con la Lira) e anche dei suoi francobolli.
Come ogni Paese che si rispetti, anche l’Isola delle Rose ha una sua lingua: l’esperanto. Inventato dal linguista polacco Ludwik Lejzer Zamenhof nel 1887, l’esperanto è una commistione di lingue quali latino, tedesco, italiano, francese, giapponese, inglese, russo e polacco. Insomma, una democrazia linguistica.
Il governo conta cinque membri. Il Presidente è Antonio Malossi, la gestione delle finanze è affidata a Maria Alvergna, gli Affari Interni sono un compito di Carlo Chierici e quelli Esteri di Cesarina Mezzini. Il dipartimento delle Relazioni è affidato a Luciano Molè, mentre di amministrazione del Commercio e dell’industria se ne occupa Luciano Marchetti.
Dalla fondazione ufficiale passano pochi giorni prima che l’Isola diventi aperta al pubblico.
Fin da subito l’idea di Rosa riscuote successo. Tutti possono raggiungere l’Isola tramite barche private o usufruendo delle imbarcazioni giornaliere che percorrono la tratta dalla costa romagnola alla piattaforma.
La realtà della Repubblica delle Rose è sociale. Chiunque può entrarvi, ascoltare un po’ di musica, dire la sua in un programma radiofonico e tornare a casa. Ma con il successo, iniziano anche le domande. La prima rivista ad interessarsi all’opera di Giorgio Rosa è Novella 2000. Da questo momento in poi iniziano le speculazioni più fantasiose.
C’è chi parla di un’isola di perdizione, con casinò e ragazze in topless, chi grida al paradiso fiscale e c’è chi, in pieno clima di guerra fredda, afferma di aver visto un’antenna per i sommergibili russi, e accusa Rosa e i suoi di essere collaborazionisti.
Ma c’è anche chi ci vede la libertà. Chi vede la realizzazione di un progetto rivoluzionario, di una vera comunità sociale.
Forse ciascuno in questa libertà, in questa indipendenza, vede quel che vuole vedere. Chi sogna la libertà dalle tasse, vede un paradiso fiscale, chi sogna una morale più elastica, vede un Paese dei Balocchi, chi sogna l’uguaglianza sociale, vede il comunismo.
Nelle sue interviste, Giorgio Rosa non parla di un indirizzo ideologico per la sua Repubblica, non si definisce un rivoluzionario e afferma di un essersi mai interessato alla politica. Ma i sospetti sono troppo forti per il Governo italiano.
Il 25 giugno del 1968, le forze dell’ordine occupano militarmente l’Isola e ne ordinano lo smantellamento. Nonostante un iter giudiziario durato quasi un anno, l’11 febbraio del 1969 l’isola viene fatta esplodere con 75 kg di dinamite.
La Repubblica è durata cinquantacinque giorni e la sua attività è stata documentata in “Isola delle Rose, la libertà che fa paura” prodotto da Cinematica.
La vicenda di Giorgio Rosa ricorda il monito dello scolastico Abelardo: “non ridurre l’utopia a una dimensione politica, lo spettro dell’ υ-τoπoς è molto più ampio”.