Del: 20 Gennaio 2017 Di: Dennis Galimberti Commenti: 0

L’illusione di una raggiunta stabilità in Kosovo e nei rapporti tra quest’ultimo e la Serbia si è infranta pochi giorni fa, quando un treno proveniente da Belgrado e diretto a Mitrovica nel nord del Kosovo è stato fermato alla frontiera. Il treno in questione infatti, era tappezzato di scritte provocatorie in diverse lingue che recitavano “Kosovo è Serbia”, da qui la decisione del primo ministro kosovaro Hashim Thaci di bloccare il treno ritenendolo alla stregua di una dichiarazione di guerra.  

Contrariamente a quanto si possa pensare la situazione in Kosovo è lontana dall’essere pacifica, prima di tutto all’interno; l’etnia albanese costituisce il 90% della popolazione, l’etnia serba il 6% e viene discriminata. Proprio a Mitrovica la situazione sociale rappresenta il fulcro del problema: la città è divisa in due dal fiume Ibar e collegata dal ponte di Austerliz ed essendo vicina al confine, la presenza serba è molto più marcata che nel resto del paese. Qui avviene un fenomeno a dir poco surreale: a nord abitano i serbi mentre a sud gli albanesi, ognuno rappresentato dal proprio sindaco. Nel 2015, quando sono riprese le rappresaglie contro i serbi, la situazione ha rischiato di degenerare. Questi episodi hanno avuto strascichi anche nel resto del paese e con molta fatica è stato ripristinato l’ordine, ma l’allarme sociale rimane sempre altissimo.

Mitrovica fa da sfondo a un paese che fin dai tempi dell’ex- Jugoslavia è sempre stato povero, con una disoccupazione al 45%, basato ancora su un’agricoltura di sussistenza. I serbi che abitano nel paese sono pressoché impossibilitati a lavorare, nessuno li assume e per lavorare è richiesta la conoscenza dell’albanese. Anche l’economia risente dei dissidi tra serbi e kosovari, la principale voce nella produzione del Kosovo riguarda l’estrazione di minerali nel complesso di Trepca, sempre a nord, uno dei più importanti centri minerali d’Europa. Negli ultimi anni, però, la produzione è diminuita a causa della faida tra i due paesi che ne rivendicano la proprietà. Prima il Kosovo ha nazionalizzato l’impresa, ma dal canto suo la Serbia, che detiene il 60% dell’impresa, si è affrettata a delegittimare l’operato del governo di Pristina e ciò ha portato a violenti scontri anche all’esterno delle miniere.

La questione riguarda direttamente l’Europa nel suo complesso.

La situazione drammatica della popolazione consente alla criminalità organizzata (sia serba che albanese) di crescere fertile rendendo il Kosovo uno dei centri più importanti per il traffico di armi e di droga, che poi coinvolgono i paesi vicini. Iprima passa in Serbia per poi cercare di entrare in zona Schengen attraverso l’Ungheria, traffico che coinvolge inoltre gli esseri umani.

La religione, neanche a dirlo, costituisce uno degli elementi di divisione del paese. L’etnia serba è ortodossa, mentre quella albanese è quasi totalmente islamica, religione preponderante in Kosovo, con più di 800 moschee sul territorio. Anche per questo il paese rappresenta uno dei punti di riferimento per il reclutamento jihadista proprio a due passi dall’Europa, solo poco tempo fa il ministro degli interni del Kosovo, ha confermato che circa 70 cittadini kosovari sono coinvolti negli scontri in Iraq e Siria nelle file dell’ISIS.

A governare il paese è il partito del PDK che fa riferimento a Thaci, un leader molto controverso, membro del UCK, il movimento di liberazione del Kosovo, che subito dopo il termine della guerra si è autoproclamato primo ministro del governo provvisorio e in passato è stato indagato per crimini di guerra e per presunti rapporti con la criminalità organizzata. L’informazione  viene controllata attraverso le intimidazioni ai giornalisti e con i finanziamenti ai mezzi di informazione che non sono abbastanza forti economicamente per pensare di rendersi indipendenti dal governo.

In tutto questo l’Europa tergiversa da anni sul riconoscimento o meno del paese, la Serbia, in corsa per entrare nell’UE,  ha infatti dichiarato che un’accettazione del Kosovo comporterebbe una rinuncia di adesione in una sorta di ‘o noi o loro’. A livello ufficiale solo 77 paesi non hanno riconosciuto il Kosovo, soprattutto per problemi propri interni, ad esempio la Spagna per i problemi con la Catalogna e i Paesi Baschi o Israele per la questione palestinese, e per appoggio alla Serbia (Russia e Cina). Un intervento europeo potrebbe però sanare innanzitutto l’economia, cercando di porre un freno alla criminalità dilagante e controllare più da vicino l’allarmante reclutamento dell’ISIS all’interno del paese. Finché l’Europa continuerà a temporeggiare la disputa kosovara aperta 17 anni fa rimarrà sempre uno dei problemi insoluti di maggior rischio per tutto il continente europeo.

 

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