Del: 29 Gennaio 2017 Di: Angelica Mettifogo Commenti: 0

Verso metà Settecento furono solo pochi trattatisti a riconoscere e documentare che sempre più elevato, in Europa, era il numero di viaggiatori che si mettevano in cammino per visitare i luoghi culturalmente più interessanti del continente e le collezioni di opere d’arte delle case regnanti.

Qualche decennio più tardi, i musei nacquero proprio per questo motivo. L’arte interessa. E’ misteriosamente trasversale. Nelle sue diverse forme, piace, in linea di massima, a tutti.

Ultimamente si mormora che sull’onda riformista che sta attraversando i musei italiani – vedi nuovi direttori, nuove formule di promozioni, aperture straordinarie -, il prossimo passo sarà renderli gratuiti. Questa misura è già da tempo attiva nel Regno Unito e fin dall’inizio si è dimostrata efficace e fruttuosa. Nel decennio successivo, da quando il governo labourista di Tony Blair approvò la proposta, i guadagni si sono triplicati e le visite sono aumentate del 150%.

Facilmente si può immaginare il motivo che ostacoli la realizzazione di questo progetto in Italia: non tanto la mancanza di fondi da investire per qualcosa che, se darà i suoi frutti, lo farà a lungo termine, ma piuttosto la non disponibilità ad accettare il rischio.

Fermandosi ad un’analisi superficiale si potrebbe pensare che rendere i musei pubblici gratuiti comporti per lo Stato un’inutile e — in Italia particolarmente — gravosa perdita di entrate, ma una scelta di questo tipo, se portata avanti in modo intelligente, può risultare senz’altro (e in modo esteso) proficua.

Come spiega molto lucidamente Massimiliano Tonelli sulla rivista d’arte Artribune,

la gratuità dei musei porta con sé dei risvolti profondi e non esclusivamente riducibili a questioni economiche.

Se il museo gratuito attira, come dimostra l’esperienza nel Regno Unito, molti più visitatori, allora gli incassi di mostre temporanee, visite guidate e altri progetti aggiuntivi che rimangono a pagamento aumentano di conseguenza. Così come dovrebbe aumentare la dedizione al miglioramento della qualità di tali servizi. Per lo stesso motivo crescerà anche il numero di sponsor privati interessati al finanziamento del museo, perché attratti dal flusso di turisti: insomma, potrà costruirsi una realtà autonoma, produttiva e solida.

Ma al di là delle venali ragioni economiche, la scelta di rendere aperto il sapere, l’arte e la cultura rappresenta una svolta prima di tutto socio-culturale, se non addirittura storica.

Proprio perché potrebbe piacere a tutti, proprio perché è un’attrazione universale, proprio perché la necessità che sopravviva è indubbia, decidere di mantenere l’entrata ancora solo parzialmente accessibile (a pagamento) nonostante le nuove possibilità significherebbe adeguarsi ciecamente a un conservatorismo vuoto e, di fatto, inutile. Per di più, riguardo a un ambiente che tende ad essere progressivamente più, elitario, erudito e chiuso.

Condividere il sapere, mettendolo a disposizione di tutti, paradossalmente, contribuisce a portare avanti la ragione per la quale il museo è nato: una risposta alla richiesta che fosse diffuso.

La scelta di uno Stato di rendere gratuita “un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, […] aperta al pubblico e che compie ricerche che riguardano le testimonianze materiali e immateriali dell’umanità e del suo ambiente, che le acquisisce, le conserva, le comunica e, soprattutto, le espone a fini di studio, educazione e diletto” riflette l’importanza che per lo Stato ha la cultura, la Storia, l’educazione, il diletto, la società e il suo sviluppo.

Angelica Mettifogo
In bilico tra tutto quello che voglio fare e il tempo che ho per farlo. Intanto studio filosofia.

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