Del: 22 Gennaio 2017 Di: Elena Cirla Commenti: 1

President is not America. Cabinet is not America. We are America and we are here to stay. Mr. Trump, we will not give up on our rights.” America Ferrera, donna e immigrata, lancia un messaggio chiaro. E dimostra che le donne che marciano, almeno per Donald Trump, sono pericolose.

Si è tenuta ieri la Women’s March on Washington, “una delle più belle espressioni della democrazia degli ultimi anni” nella capitale degli USA come segno di protesta alle numerose affermazioni maschiliste, sessiste e razziste che Mr. President ha fatto nel corso della sua campagna elettorale.

Una protesta organizzata per difendere i diritti di donne, immigrati, membri della comunità LGBT. Nata il 9 novembre 2016 – in seguito all’elezione di Trump – come evento su Facebook per 40 persone, in poco tempo si è diffusa a macchia d’olio la notizia di una marcia “per reagire alla retorica della campagna elettorale di Trump e alle sue affermazioni divisive, razziste e misogine”.

Women's_March_on_Washington_logo

Originariamente battezzata “Million Women March”, è stato cambiato il nome in “Women’s March on Washington” per richiamare un pilastro delle marce per i diritti, la “March on Washington”, organizzata da Martin Luther King il 28 agosto 1963.

Secondo i dati raccolti e le partecipazioni confermate, le presenze sarebbero dovute essere più di 200mila, anche se FoxNews sosteneva di aspettarsi una folla di 500mila persone. I numeri effettivi erano intorno alle 400mila persone – SkyNews ripeteva continuamente che i valori oscillavano far le 300mila e le 500mila persone – , anche se nel suo intervento, la giornalista e attivista Gloria Steinem ha fatto appello non alle sole persone presenti al momento a Washington, ma in tutto il mondo.

We are marching together here and in all countries, in all six continents, in factories, in prisons all over the world”, continuando “We will not be quiet, we will be bold. We’re never going home, we will be fighting tomorrow and tomorrow and tomorrow again. And we’ll never turn back.”

E infatti tutto il mondo si è sentito parte del movimento. Sono state organizzate marce anche a Milano, Londra – con più di 80mila partecipanti -, Boston, in Australia e in Nuova Zelanda. Anche Scarlet Johansson ha puntato all’unione di tutte le forze: “It’s vital that we do it together“, ha detto.

Non solo donne, uomini, transgender da tutti gli USA, ma anche numerose star del cinema e della musica si sono unite al coro di protesta femminista. Michael Moore, Van Jones, Amy Schumer, Olivia Wilde, Katy Perry, Madonna, Cher. Senza contare le partnerships con associazioni e ONG, fra cui spiccano Amnesty International USA, National Center for Lesbian Rights, National Organization for Women, League of Women Voters e molte altre.

E non può non tornare alla memoria anche il discorso che Hillary Clinton tenne il 5 settembre 1995 all a conferenza delle Nazioni Unite a Pechino, al cui slogan “human rights are women’s rights, and women’s rights are human rights” le organizzatrici si rifanno apertamente.

 

Numerosi gli interventi di uomini e donne, organizzatori, giornalisti e star.

My grandmother and my mother fought for our rights. My daughter and son are still fighting now. Together we rise. Together we can build a better nation. We are the leaders our nation needs right now. This is our movement. Feel the power. Together we are powerful. We stand, we rise, we march for each other“.

Look at this. Look at us. This is America. We are America.”

We will always resist. We need you. For justice.”

We are here today because this is what America looks like. We are here to tell you that you can’t divide us and if America’s gonna be great again it will be because we, united, we will be fighting for our rights“.

Elena Cirla
Studentessa di Lettere Moderne, classe 1994.
Amante dell'autunno, dei viaggi e del vino rosso.

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