Del: 11 Febbraio 2017 Di: Susanna Causarano Commenti: 0

Ieri è stata inaugurata al Leica Store di Milano la mostra fotografica 7439 di Renato D’Agostin. Il titolo dell’esposizione, visibile fino al 23 marzo, è il numero di miglia percorse dal fotografo nell’estate 2015 quando, in sella alla sua moto, ha compiuto il classico viaggio verso ovest, attraverso gli Stati Uniti. Molto famoso all’estero, veneto di nascita, americano di adozione da dodici anni, Renato ha trovato negli Stati Uniti «un contenitore di possibilità, ciascuna a sua volta piena di occasioni e spunti.» «Avevo 22 anni, l’america è stata una risposta alla necessità di mostrare il mio lavoro, senza che mi venissero fatte domande sulla mia età. Con la prima mostra è partito tutto e per me l’America, seppur affaticata, rappresenta ancora il paese dove puoi diventare quello che vuoi senza che conti da dove provieni. Non ha nulla di perfetto, specialmente di questi tempi, ma mantiene una certa tendenza a valutare una persona per quello che è e per quello che offre, non per cos’era. Dirò una banalità, ma spostarti e viaggiare ti permette di capire quanto ciascun paese abbia tanto da insegnare agli altri, nessuno escluso, e se c’è qualcosa che l’America può insegnarci è proprio la velocità con cui ti da’ l’opportunità di dimostrare chi sei e quanto vali. Poi sta a te coglierla. »

Non c’è traccia di colore, il bianco e nero che caratterizza ogni foto, annunciando il soggetto che può essere visto da varie angolazioni. Ne tratteggia i contorni, lasciando libertà all’immaginazione. «Prediligo il bianco e nero al colore perché quando scattiamo ci sono alcuni passi fondamentali che compiamo dalla realtà» spiega D’Agostin.

«A colori, nel 90% dei casi, prendiamo la realtà, la rimpiccioliamo e la mettiamo su due dimensioni. Nel bianco e nero togliamo anche il colore, quindi facciamo un passo ulteriore per allontanarci dalla realtà.

Nel mio tipo di fotografia, che vuole essere una sorta di ponte tra il reale e il surreale, l’eliminazione del colore porta lo spettatore e me come fotografo, a rivisitare quello che le foto sono, all’interno del linguaggio che voglio creare. Voglio portarle fuori dal cerchio in cui sono circoscritte, decontestualizzandole.» Durante il viaggio l’artista ha attraversato diverse tappe, da Detroit al Texas, dal Grand Canyon a Los Angeles e certamente la cifra di un progetto del genere è il movimento. Non manca però il momento dell’analisi e della riflessione sugli scatti prodotti, che anzi, ricopre un ruolo centrale nel lavoro di D’Agostin. «In camera oscura, la parte meditativa del mio lavoro, ho capito che lo scatto è cosa ben diversa dal produrre la stampa. Là puoi decidere di enfatizzare un particolare ed eliminarne un altro; provi, sposti lo sguardo, confronti. Potremmo dire che si tratta di una specie di photoshop manuale che impari facendo.»

Il passaggio verso ovest, il viaggio in moto a tappe, il concetto di on the road, rimandano ad un’America sognata, ricca di icone, simboli e speranze. Tutto ciò può rappresentare un’epoca passata, ma non solo. «Cerco di staccarmi dal presente sviluppando foto atemporali dove la dimensione onirica prevale. Questo è l’oggetto e l’obiettivo della mia ricerca. In questo progetto, come negli altri, sono stato naturalmente portato ad agire così sia in fase di scatto che successivamente.»

Susanna Causarano
Osservo ma non sono sempre certa di quello che vedo e tento invano di ammazzare il tempo. Ma quello resta dov'è.

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