Del: 8 Febbraio 2017 Di: Elena Cirla Commenti: 0

Katherine Johnson è “la ragazza che ama contare”. Era una ragazza, perché oggi ha più di 90 anni. Ma ama ancora farlo, non si è mai stancata in realtà, tanto che nel 2015, dopo aver ricevuto dall’allora presidente degli Stati Uniti Obama la National Medal of Freedom – il più alto merito civile negli USA -, ha commentato «Io conto tutto. Conto i passi che faccio per strada, quelli per andare in chiesa, il numero di piatti e stoviglie che lavo, le stelle in cielo. Tutto ciò che può essere contato, io lo conto».

Nata in Virginia nel 1918, fin da subito dimostra un’intelligenza vivace e spiccata: si diploma a quattordici anni e si laurea Magna cum Laude a diciotto. La sua passione è la matematica: al West Virginia State College frequenta corsi intensivi di matematica e chimica e i professori, impressionati dalla sua genialità, fanno a gara per farle da mentori. Shiefflin Clayton, terzo afroamericano a ricevere una laurea in matematica, ne istituisce uno apposta per lei. Nel 1939 è una dei tre studenti di colore selezionati per un programma intensivo alla West Virginia University, ai tempi un all-white campus.

Dopo il diploma, inizia a insegnare in una scuola elementare. Ma il suo vero interesse, in realtà, era la ricerca in matematica. Campo tutt’altro che facile per una donna, per di più afroamericana, negli anni ’40. Ma Katherine non si lascia intimidire: viene assunta dalla NACA – poi NASA -, alla ricerca di personale femminile laureato in matematica. Inizialmente svolge la mansione di “human computer“, un gruppo di donne definite “computer virtuali che indossavano gonne”.

Ai piani alti, invece, erano gli uomini a contare, in tutti i sensi. Non abbastanza bene però, perché non passa molto tempo prima che Katherine, “the girl“,  venga chiamata per aiutare a svolgere calcoli matematici precisi.

Le sue conoscenze in geometria analitica, la sua dedizione e la sua “mente curiosa” (“curious mind“, ndr) la portano nelle stanze di dirigenti e colleghi uomini, che non possono fare a meno di lei. Entra a far parte dell’American Space Program e vi rimane anche dopo i primi risultati. I colleghi continuano a «tenerla in redazione» – come ricorda la stessa Johnson -, nei luoghi in cui «le donne non erano mai state prima».

Il cielo non è mai stato un limite per lei: ha contribuito ai calcoli per le traiettorie del Project Mecury – prima missione aerospaziale statunitense con equipaggio -, dell’Apollo 11 e dell’Apollo 13, a cui si aggiunge l’apporto per lo Space Shuttle.

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Katherine Johnson fotografata da Annie Leibovitz per Vanity Fair.

Si è ritirata dalla NASA nel 1986, dopo innumerevoli onori e premi. La sua importanza, per la Scienza e per la lotta di genere, è dimostrata dalla sua presenza nell’elenco della BBC delle “100 donne”, le cento donne più ispiratrici e influenti al mondo.

Nell’intervista per Vanity Fair di agosto 2016 ha ricordato come siano stati i genitori a indirizzarla verso il suo destino: credevano molto nell’istruzione superiore e si trasferirono in un’altra città pur di farmi studiare anche dopo la terza media (8th grade nel sistema scolastico americano, ndr). “Impari se hai passione. Quindi devi avere passione per imparare”, ricorda Johnson. “La cosa che mi rende più fiera” – ha detto – “è stato il successo della missione Apollo. Stavano andando sulla luna e io ho computerizzato il cammino verso la meta”.

Elena Cirla
Studentessa di Lettere Moderne, classe 1994.
Amante dell'autunno, dei viaggi e del vino rosso.

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