Del: 13 Febbraio 2017 Di: Giulia Gelmetti Commenti: 0

Il 9 febbraio a Bologna la polizia in tenuta antisommossa ha sgomberato la biblioteca della Facoltà di Lettere e Filosofia di via Zamboni 36.
La decisione di occupare il “36” è stata la risposta di alcuni studenti al provvedimento di Francesco Ubertini, rettore dell’Alma Mater Studiorum, che prevede il controllo degli accessi nella biblioteca tramite dei tornelli all’ingresso ai quali è possibile accedere se in possesso del badge. Il rettorato ha ritenuto necessaria questa precauzione perché la zona universitaria, da via Zamboni a Piazza Verdi, verte in una situazione critica, la cui causa principale è lo spaccio.
Il rettore dell’Alma Mater dichiara: «Noi abbiamo bisogno di sapere chi c’è in biblioteca: il punto non è selezionare gli ingressi. Il mio sogno è avere biblioteche a scaffale aperto, usando le tecnologie per una fruizione diretta del patrimonio. I tornelli rientrerebbero in questo progetto, anche per allineare il 36 agli standard delle altre strutture.»

Il discorso di Ubertini non pare affatto irragionevole.
Allora perché un’occupazione? Quali sono state le cause che hanno portato la polizia a distruggere una sala studio? Chi sono i veri protagonisti di questa vicenda?
A questo punto si rende necessaria ora una piccola premessa. Chi scrive non studia all’Alma Mater e diffida dalle generalizzazioni, tuttavia mi sento di dire che chiunque abbia mai avuto a che fare con i servizi di amministrazione di un’università statale ne sia uscito un po’ più forte. Un reale confronto tra gli studenti e il Rettorato non è sempre facile, per non dire quasi impossibile.
L’occupazione non è mai la prima risposta, è la conseguenza inevitabile di un malcontento inascoltato.
Nessuno meglio di uno studente può descrivere le criticità dell’università e della città in cui vive, per questo motivo ho deciso di parlare con loro.

Il primo ragazzo con cui parlo è laureato triennale in Scienze politiche nel 2014 e mi conferma una realtà problematica della Biblioteca di Lettere di via Zamboni:
«Credo di essere entrato solo un paio di volte nella biblioteca di Lettere. Mai frequentata assiduamente, ma conosco bene la “situazione critica” in cui versa la zona. Un po’ perché l’ho vissuta e un po’ per essermene occupato in alcuni servizi per un giornale locale. Quando ero studente a Bologna in una strada laterale di via Zamboni vidi un ragazzo iniettarsi droga in vena alle tre del pomeriggio. È normale? Nel 2011 un ragazzo morì di overdose nei bagni di Lettere e dentro spesso vagano persone del tutto estranee all’Università. Chi dice di non vedere la “situazione critica” al 36, come lo chiamano studenti e collettivi, chiude gli occhi perché non vuol vedere. Quindi, ritengo più che giusta, anche se tardiva, la decisione del Rettorato: per tanti, troppi anni i vertici dell’istituzione hanno dato corda al Cua e ai vari movimenti antagonisti bolognesi. Il tornello andrebbe messo all’ingresso di tutte le facoltà

Anche Laura, studentessa di lettere al primo anno della magistrale, mi descrive una situazione difficile:
«Di base l’aula studio del 36 è pessima perché proprio lì c’è un cortiletto dove la gente va a farsi le canne. L’università ha avviato il progetto di tenere le biblioteche aperte fino a tardi e ha iniziato col tenere aperto il 36, così hanno messo i tornelli. Piazza verdi è notoriamente l’habitat di spacciatori muniti di birre a volontà. Un gruppo di paladini della giustizia ha sradicato i tornelli, fatto delle barricate con tavoli e sedie della biblioteca e occupato il 36.»
I “paladini della giustizia” a cui si riferisce Laura sarebbero i ragazzi del CUA, Collettivo Universitario Antonomo. Le opinioni circa i metodi del CUA sono molto forti:
«Il Cua non mi rappresenta. Il vero problema è che Lettere è diventata una sorta di “zona loro” e le occupazioni ormai hanno il sapore della consuetudine.

L’unico effetto reale è quello di impedire a chi è davvero uno studente e vorrebbe studiare, di mettersi sui libri per arrivare all’esame preparato.

Questi ragazzi sono solo dei fascisti con un “-anti” davanti. I loro metodi ed il loro squadrismo sono molto simili ai loro avversari di estrema destra, con specifiche differenze ovviamente.»

C’è anche chi, pur recriminando al CUA i metodi, riconosce che, a volte, siano gli unici a preoccuparsi di determinate dinamiche.
Così mi racconta Marco, studente di Economia: «Io non li posso vedere quelli del CUA ma ciò non toglie che a volte siano gli unici a far notare certe cose. (L’allusione a “certe cose” è un riferimento ai progetti istituzionali del Sindaco Merola, Partito Democratico, ndr.).
«Sul significato di mettere i tornelli nell’aula studio, c’è chi dice che fosse una misura innocente per garantire la sicurezza degli studenti. Può essere, ma alla luce dei vari progetti istituzionali che si sono sviluppati negli ultimi anni, dalla vendita di edifici storici universitari alle banche, alle misure di spopolamento del centro volte a cacciare gli studenti, il tutto finalizzato alla costruzione di un polo universitario esterno al centro storico ecco io penso che si svuoti l’università della presenza attiva studentesca, scoraggiandola, facendola sentire parte di nulla, per lasciarla in mano agli Alti Uffici”.

Non si parla solo di tornelli. Gli studenti, se non tutti alcuni, sentono che la città non gli appartiene più, di essere estranei in patria. Ma Bologna la Rossa ha sempre resistito, o per lo meno, ha sempre tentato di farlo.
L’ultima ragazza con cui parlo è Ilaria, studentessa di Medicina e attivista del collettivo LUBo, Libera Università Bologna.
Ilaria invita ad andare oltre la semplice questione “tornelli Sì\No”, come scrive nel comunicato che ha redatto con gli altri ragazzi del LUBo.

«Osservando attraverso un’ottica più ampia anche la collocazione e il “portato” del 36, i punti da toccare aumentano: il 36 è la biblioteca della facoltà di lettere e filosofia, in piena zona universitaria. Zona di problematicità e contraddizioni, che sicuramente stona con l’idea di “città-vetrina” del sindaco Merola. Già nell’ultimo anno abbiamo visto un’impennata degli affitti nel centro storico, cosa che di fatto ha creato l’impossibilità per molti studenti fuori sede di poter affittare una stanza nel centro cittadino, vicino all’università.

Il tutto in linea con una prospettiva ben precisa: allontanare (senza risolvere) le criticità della zona universitaria decentralizzando fisicamente aule e studenti, alternativamente citati come complici o vittime del degrado, a seconda della strumentalizzazione contingente. Il tutto per rendere il centro di Bologna ad uso e consumo dei turisti.

Si è instaurata una vera e propria guerra contro chi non rientra entro certi parametri di decoro.»

Si spiegano così, attraverso le voci degli studenti, gli scontri che in questi giorni stanno avvenendo a Bologna.
Troppo semplicistico ridurre lo scontro a dei ragazzini che giocano a fare i rivoluzionari ed è troppo facile gridare agli sbirri infami.
È fazioso scrivere che i ragazzi dei collettivi hanno occupato un’aula per dei tornelli all’ingresso. La portata del problema è certamente più ampia. Se è innegabile che i metodi degli studenti (del CUA e non solo) sono stati controproducenti, è altrettanto innegabile che lasciare che la polizia entri in una biblioteca e carichi in tenuta antisommossa è vergognoso.
Il dissenso va ascoltato prima che ci sia bisogno di urlarlo.

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