Del: 25 Febbraio 2017 Di: Francesco Porta Commenti: 0

Quanto sia difficile parlare del problema dell’immigrazione non è difficile presentarlo, quanto sia necessario discuterne invece non è affatto scontato. Anche se i media ora parlano meno delle ondate di rifugiati che si spostano, i flussi migratori non sono cessati, anzi: la situazione si evolve ma non sempre per il meglio.

Lo hanno raccontato ieri i ragazzi del “Cut, collettivo universitario the take” che giovedì 23 febbraio in Univeristà hanno organizzato una conferenza intitolata “UE, un’altra accoglienza è possibile” in cui sono intervenuti diversi volontari, per raccontare la loro esperienza in Turchia. Non solo, in collegamento Skype hanno parlato anche volontari dalla Francia e dalla Grecia, dove ancora sono alte le barriere per bloccare chi cerca di entrare nel Paese.

Il primo a parlare è stato Valerio Muscella, che ha esordito dicendo: «Quello che diamo spesso per scontato è che le migrazioni sono una diretta conseguenze delle guerre, noi pensiamo che la gente venga in Europa solo per stare meglio ma non è vero. Cercano prima un posto dove essere in salvo.»

Valerio segue da molto vicino questi movimenti. Dalla sua prima idea – che prevedeva restare in Turchia solo poche settimane – assieme a un amico è riuscito a costruire un piccolo angolo di zona franca per tutti i rifugiati e ora ha richiesto la cittadinanza in Turchia. «Parlando di immigrati dobbiamo anche distruggere la nostra concezione “eurocentrica”», continuando: «i clandestini non sono solo un problema europeo, anzi: dati alla mano, si contano che i rifugiati scappati nel vecchio continente siano circa un milione mentre sono oltre il doppio le persone che restano dall’altra parte del mar Mediterraneo, più vicini al Medio Oriente, in particolare in Turchia dove molti sperano di riuscire a imbarcarsi per una vita migliore».

La città che sicuramente risente di più del flusso migratorio è Smirne (o Izmir, in turco), ultima frontiera per l’Europa, di cui il porto, che si affaccia sul mar Egeo, è tra i più affollati tra quelli che danno sulle stesse coste da chi scappa dalle guerre. Smirne si può definire come una grande “hub” per chiunque voglia fuggire dal proprio paese e di recente si sono così formati dei mercati illeciti tutti nuovi: è possibile acquistare salvagenti fasulli per una disperata traversata o passaggi per più classiche fughe clandestine.

Ma solo una parte verrà in Europa: gran parte dei migranti rimane in Turchia, in Giordania e zone limitrofe. Tutta quella gente va a creare una comunità molto eterogenea ed è difficilissimo riuscire a trovare un contatto fra le popolazioni, soprattutto nei quartieri più poveri.

Muscella racconta il suo vissuto a Bazmare, un piccolo quartiere di Izmir dove i rifugiati attendono il loro “passaggio” per una nuova vita. Lì sono numerosissimi gli alberghi e le case, spesso vecchie e fatiscenti, che vengono affittate a prezzi esorbitanti. L’integrazione è quasi impensabile e lo stile di vita è completamente diverso dal nostro: i nuclei familiari sono costituiti in media da dieci persone di cui uno solo lavora, con turni pesantissimi quasi tutti i gironi a settimana per raccimolare quello che basta.

Non è raro che anche i bambini vengano mandati a lavorare: la ricchissima produzione di tessuti del posto è in effetti frutto per la maggior parte della manodopera dei minori a cui la scuola viene sconsigliata dagli stessi genitori.

Oltre a questi disagi si aggiunge la segregazione, che non è necessariamente forzata ma insita nei rifugiati che, impauriti e spesso odiati, tendono all’isolamento. Un’eccezione è la casa di Kapilar, dove lavorano Valerio e altri ragazzi che cercano di creare una zona sicura per i bambini e le loro famiglie, inventando un punto di incontro che prescinda dalla etnia e dal paese d’origine degli ospiti. Racconta di essere stato fortunato a trovare una casa che, una volta ristrutturata, può sfruttare gratuitamente e di aver messo a disposizione degli spazi principalmente per accogliere i bambini, insegnare loro a scrivere e a contare ma anche a socializzare, condividendo dei pasti con le famiglie più bisognose o con partite a pallone.

Durante l’incontro sono stati trattati altri temi collegati con l’immigrazione: Michelle Mukambu, una ragazza belga di origini congolesi, ha raccontato come sia necessario smuovere la coscienza pubblica per la difesa dei diritti delle donne – in particolare africane – e di minoranze etniche. Non sono pochi, in Belgio, i congolesi di seconda e terza generazione, portati dalla passata feroce politica colonialista di Leopoldo II. Spesso in Europa e nel mondo occidentale si fa molto rumore per le femministe, eppure esiste anche un “femminismo di nicchia”, come lo ha chiamato Mukambu, che ha bisogno di essere diffuso e difeso. Gli interventi quindi hanno portato a riflettere sulle condizioni dei rifugiati e hanno invitato gli ospiti a riflettere prima di sindacare sulle politiche di accoglienza: si parla sempre di essere umani in pericolo.

Francesco Porta
Amo il cinema, lo sport e raccontare storie: non si è mai troppo vecchi per ascoltarne una.

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