Del: 8 Marzo 2017 Di: Lucia De Angelis Commenti: 2

Oggi è l’8 marzo, giornata di eventi esclusivamente al femminile, mazzetti di mimose e stucchevoli manfrine sul bello di essere donna. Fra le migliori, quelle che sposano le lodi con un clamoroso falso storico. Sull’origine della festa, infatti, è molto diffusa in Italia quella che in realtà è una leggenda metropolitana: l’incendio della fabbrica Cotton a New York l’8 Marzo del 1908. Nel presunto incendio, appiccato dal proprietario Mr. Johnson dopo aver bloccato tutte le vie di uscita, sarebbero morte 129 operaie, colpevoli di aver protestato giorni prima contro le insostenibili condizioni di lavoro. Il fatto, in realtà, non è documentato, tuttavia continua ad esercitare una forte presa emotiva sul grande pubblico.

Le reali radici storiche della ricorrenza non giustificano però né il carattere ludico di una festa, né la necessità commemorativa di una qualche tragedia all’origine della ricorrenza. La loro natura unicamente socio-politica rende, invece, la giornata internazionale della donna questo il nome più corretto un’occasione per ricordare le conquiste raggiunte in ambito politico, economico, sociale e culturale e per riflettere con serietà sulle disuguaglianze ancora in atto.

La prima ufficiale giornata della donna è, infatti, connessa con la storia del partito socialista e delle sue rivendicazioni sul suffragio universale. L’idea di istituire un «Woman’s Day» era stata elaborata proprio dalla statunitense Corinne Brown, che aveva invitato tutte le donne a partecipare alla conferenza socialista di Chicago da lei presieduta nel maggio del 1908. L’idea piacque e alla fine dell’anno, su impulso del Socialist Party of America, si decise di organizzare a fine febbraio una manifestazione in favore del diritto di voto femminile. Tale manifestazione fu celebrata per la prima volta negli USA nel febbraio 1909. La ricorrenza non aveva però ancora acquisito una diffusione internazionale.

Durante la seconda Conferenza internazionale delle donne socialiste del 1910, tenutasi a Copenhaghen, le delegate socialiste americane proposero allora di istituire una comune giornata dedicata alla rivendicazione dei diritti delle donne, sul modello dello Woman’s Day. La tedesca Clara Zetkin, che coordinava i lavori della Conferenza, ne scrisse sul periodico Die Gleicheit, organo ufficiale di diffusione del socialismo. Un anno dopo, come effetto dell’iniziativa della conferenza di Copenhaghen, si celebrò la giornata internazionale della donna in molti paesi europei — quali Danimarca, Austria, Germania, Svizzera, Francia e Svezia — durante la quale si richiedevano il diritto di voto e maggiori tutele sul lavoro, comprese quelle contro la discriminazione. Le date della celebrazione, tuttavia, non risultavano ancora omogenee. Successivamente, la ricorrenza non fu ripetuta tutti gli anni, né realizzata in tutti i paesi.

Copia di Manifesto tedesco relativo alle locali manifestazioni della Giornata della Donna dell'8 marzo 1914, la cui richiesta principale era il diritto di voto

All’avvicinarsi della prima guerra mondiale, oltre alle rivendicazioni tipiche della giornata, si aggiunsero anche proteste contro lo scoppio della guerra durante la quale, ovviamente, la manifestazione fu soppressa. Ideali pacifisti animarono infine anche le donne di San Pietroburgo che, l’8 marzo del 1917, richiedevano la fine del conflitto mondiale. Tale manifestazione diede adito a successive proteste che portarono, come è noto, al crollo dello zarismo e alla rivoluzione russa.

L’8 marzo divenne, così, per il regime comunista la «Giornata internazionale dell’operaia».

Non è difficile capire perché le reali origini della manifestazione siano state progressivamente dimenticate: la connotazione fortemente politica delle prime giornate della donna, lo scoppio della seconda guerra mondiale e, infine, il progressivo isolamento della Russia e del comunismo nel mondo occidentale contribuirono all’oblìo storico.

Fu, non a caso, una organizzazione intergovernativa e sovranazionale come l’ONU a ratificare in maniera ufficiale la giornata delle donne: il 16 dicembre 1977 l’Assemblea generale propose ad ogni paese di dichiarare una volta all’anno la «Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle donne e per la pace internazionale». Per molti paesi la data scelta fu, appunto, l’8 marzo.

Anche in Italia la storia di questa ricorrenza ha radici che ramificano a sinistra. Fu celebrata per la prima volta nel 1922 su iniziativa del partito comunista, perse del tutto importanza durante il fascismo e la seconda guerra mondiale e fu ripristinata a circa un anno dalla fine della guerra, quando si formò, per volontà delle sinistre del paese, l’UDI (Unione Donne Italiane).

Copia di UDI italia

L’anno successivo venne introdotta la mimosa come simbolo della festa della donna, sia perché fiorisce a inizio marzo sia perché poco costoso e quindi acquistabile da tutti. Le politiche dell’UDI, in un primo momento, non trovarono però piena approvazione negli organi direttivi del paese, né riuscirono a sollecitare uniformemente l’interesse dell’opinione pubblica. La grande svolta si verificò durante gli anni Settanta, grazie al movimento femminista italiano che si servì della ricorrenza, anche dopo la ratifica dell’ONU, come bacino di diffusione dei propri ideali.

Dagli anni Ottanta ad oggi il significato originario dell’8 marzo, carico di tanta passione politica, si è indebolito e, come tante altre ricorrenze o festività, ha subìto una evidente deriva consumistica.

Tuttavia, lo sciopero generale che oggi si svolgerà in 49 paesi del mondo, portato avanti in primis dal movimento Non una di meno e supportato da vari sindacati e comitati, sembra costituire una positiva inversione di tendenza che ripropone la verve originaria.

Nel promuovere questa iniziativa — sensata e interessante — c’è, però, chi potrebbe adottare (o purtroppo adotta già) un atteggiamento non altrettanto sensato: quello moralista di chi vuole insegnare agli altri come celebrare in maniera giusta l’8 marzo, opponendosi con forza a chi, candidamente, ne ignora le radici storiche ed esce a bersi un aperitivo con le amiche. Certo, alcune attività ludiche non rientrano nello spirito di rievocazione storica dell’8 marzo: una serata in discoteca con annesso spogliarello ha ben poco in comune con una conferenza su Simone de Beauvoir. Ma la dimenticanza storica e l’ignoranza in generale si contrastano, quando è possibile, con un dialogo ricco di argomenti informati e persuasivi, non con la mera presunzione di chi ricorda meglio, capisce meglio e agisce meglio. I ragionamenti sulla parità di genere — per parafrasare un discorso molto popolare in questi giorninon sono un bastone con cui redarguire le donne che non si conformano ad una certa idea rigida di essi. Perché non siano controproducenti devono ricercare adesione e unione, non frammentare ulteriormente il mondo femminile.

Lucia De Angelis
Mi entusiasmano i temi sociali, i filosofi greci, le persone intelligenti e le cose difficili.

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