Del: 23 Marzo 2017 Di: Francesco Porta Commenti: 0

Meno di una settimana fa Netflix ha rilasciato Iron Fist, la sua ultima serie tv con protagonista un eroe Marvel. Le vicende narrate vanno a completare e allargare le storie degli altri “super eroi della strada”, già raccontate in altre serie tv targate Netflix: parliamo di Jessica Jones, Luke Cage e Daredeviltre personaggi che hanno cominciato a costruire un universo supereroistico parallelo a quello del grande schermo e che, con questo ultimo titolo, sembra assumere sempre più completezza.

Facendo eccezione per Daredevil le altre serie non hanno riscosso grosso successo pur essendo prodotti originali e assolutamente godibili: un po’ forse per il genere supereroistico che sta venendo a noia, visti i numerosi titoli che DC e soprattutto Marvel offrono praticamente ogni anno, un po’ probabilmente per alcuni aspetti non molto riusciti nelle ultime serie prodotte (in particolare la serie di Luke Cage, che pur essendo completa di ogni elemento minimo per una buona serie non riesce a sfondare). Sotto molti aspetti però queste serie nate dalla Marvel riescono a proporre qualcosa di differente rispetto a quello che siamo abituati a vedere sul grande schermo: i dieci episodi (in media anche di più) per serie consentono agli sceneggiatori di introdurre i personaggi e le loro nemesi con cura e senza dover rinunciare alla narrazione delle trame (ben strutturate e avvincenti nella maggior parte dei casi) ma soprattutto di avere la possibilità di sviluppare i rapporti tra i comprimari, questi sì sempre felicemente rappresentati e punto forte delle produzioni.

Iron Fist però si annunciava come un flop: infatti sembrava andare incontro a una stroncatura dei molti critici che in anteprima ebbero la possibilità di recensire i primi due episodi della serie e che, tutt’altro che soddisfatti, hanno espresso pareri molto duri.

Ora che la serie è accessibile a tutti però i pareri sono quanto mai discordanti: i tredici episodi mostrano decisamente qualcosa in più rispetto a quanto messo in luce dall’anteprima esclusiva. Eppure non si può dire che la serie non sia priva di difetti.

Iron Fist è lento a ingranare: i primi episodi sono piuttosto anonimi e sembrano non portare da nessuna parte; solo al quarto episodio la serie comincia a prendere ritmo e una direzione più decisa (considerando che gli episodi durano 50 minuti circa l’uno decisamente troppo tempo).

In seguito a un incidente aereo sulle pendici dell’Himalaya (che costerà la vita ai suoi genitori), Danny Rand viene salvato da un gruppo di misteriosi monaci e, giovanissimo, trascorrerà un’infanzia molto difficile (sembra essere una prerogativa per diventare un supereroe); viene cresciuto in un monastero mistico nella sconosciuta città di K’un-Lun, dove apprenderà le basi delle arti marziali e della filosofia buddista, e dove riceverà l’investitura di Iron Fist.

Iron Fist

Decide di tornare a New York, dove dovrà provare la sua identità per rivendicare il suo nome e il suo ruolo nella facoltosa società che una volta era di suo padre e dell’amico/socio Meachum, i cui figli ora dirigono la baracca, ma il ritorno del pugno d’acciaio risolleva dei misteri che fino a quel momento erano rimasti nascosti e che, venuti a galla, non possono che distruggere lo status quo dei protagonisti.

La narrazione riprende bene il quadro generale delle altre serie e riesce a stare in piedi anche grazie alle buone basi gettate dagli altri titoli; per chi invece è all’oscuro di tutti gli intrecci e le vicende precedenti sarà più difficile seguire senza perdersi qualcosa, ma la serie riesce a salvarsi anche se comunque difficilmente potrà appassionare un profano. Inoltre nei primi episodi i combattimenti, che ci si aspetterebbe di trovare in abbondanza, sono piuttosto sporadici e non reggono il confronto con quelli di Daredevil. Infine, nella serie si cerca spesso di caratterizzare il protagonista come un monaco shaolin di formazione orientale ma molto spesso sembra più che altro una parodia: lo si vede spesso meditare e recitare frasi che sembrano quelli che si trovano nei biscotti della fortuna.

Ma la serie, una volta preso il ritmo risulta davvero godibile: più gli intrighi vengono a galla più i personaggi diventano convincenti; gli attori danno una grande prova e tra tutti va menzionato David Wenham che interpreta Harold Meachum, combattuto ed enigmatico co-protagonista della serie. Anche se il protagonista spesso risulta essere un po’ ingenuo (un classico bonaccione vagamente stereotipato che cerca vendetta e giustizia sopra ogni cosa) la sua evoluzione nella serie è appassionante e terminati gli episodi non si può che aspettare la realizzazione del grande crossover “The defenders” che vedrà coinvolti tutti i protagonisti Marvel del piccolo schermo.

In conclusione viene presentato al pubblico un nuovo super eroe che ai più era sconosciuto e riesce certamente, se superati lo scoglio dei primissimi episodi, ad appassionare e incuriosire. Certo non può contare sulla brillantezza e la freschezza che ha contraddistinto Daredevil, o di comprimari altrettanto accattivanti, ma decisamente funziona: è un nuovo tassello del puzzle Marvel che si prepara a comporre un quadro più grande che gli appassionati già bramano di vedere da tempo.

Francesco Porta
Amo il cinema, lo sport e raccontare storie: non si è mai troppo vecchi per ascoltarne una.

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