Del: 28 Marzo 2017 Di: Barbara Venneri Commenti: 0

In seguito alla presentazione del libro Mani Pulite: 25 anni dopo, tenutasi in occasione di BookPride 2017 a BASE, abbiamo avuto l’occasione di intervistare Marco Travaglio, autore del libro insieme a Gianni Barbacetto e Peter Gomez, giornalista e attualmente direttore de Il Fatto Quotidiano.

Ovviamente non si può paragonare il caso CONSIP con lo scandalo di Tangentopoli, ma crede che questo possa essere il segnale di un inizio di qualcosa di simile?

No, non credo perchè Tangentopoli era un sistema per cui c’era una regola: per ogni appalto una percentuale andava ai partiti che se la dividevano in parti prefissate. Poi una parte se la tenevano a livello locale, una parte la passavano al tesoriere nazionale. Era tutto codificato. Oggi i partiti non ci sono più, ma ci sono dei gruppi di potere, in cui ci sono tanti capi e capetti che fanno quello che gli pare e naturalmente quelli più spregiudicati lasciano fare quello che gli pare anche ai loro parenti e amici. Il caso CONSIP è questo. Una grande società, che doveva centralizzare gli acquisti della pubblica amministrazione per evitare le famose disparità, è immediatamente diventata una centralizzazione della corruzione per cui arrivano gli amici del papà di Renzi a raccomandare questi imprenditori, gli amici della cooperative rosse a raccomandare le cooperative rosse che poi, naturalmente, si attendono in cambio dagli imprenditori tangenti o favori che sono infinitamente inferiori alle percentuali che c’erano ai tempi di tangentopoli.

Si parlava del cinque o dieci percento rispetto all’importo dell’appalto. La vicenda CONSIP, invece, è nata su un appalto da 2 miliardi e 700 milioni di euro. Immagina cosa sarebbe il 5 percento di 2 miliardi e 700 milioni: una cifra spaventosa. Invece abbiamo trovato qualche pizzino, che poi probabilmente non si è nemmeno tradotto in realtà, dove c’era scritto 30.000 euro a “T.” e 5.000 euro ogni due mesi a “C.R.”, quindi stiamo veramente parlando di cifre minuscole.  Non che il totale poi sia ininfluente, anzi, è molto più grave rispetto ad allora, ma è molto più parcellizzato, ossia sono molti di più quelli che rubano, ma rubano molto meno singolarmente di quello che rubava il grande ‘tangentaio’ dell’epoca. Questo perché oggi i politici sono dei piccoli personaggini ai quali si è aggiunta anche la figura del mediatore che ai tempi di Tangentopoli non c’era. Il mediatore è colui che si mette in mezzo tra il politico e l’imprenditore per presentare l’uno all’altro, non è pubblico ufficiale e non incorre nel reato di corruzione, ma al massimo in quello di traffico di influenze.

I pizzini trovati potrebbero simboleggiare un po’ come la corruzione oggi sia vista come una scambio di favori, facendola quindi diventare ancora più grigia?

Sì, infatti era diventato come una specie di stipendio mensile quello che era stato promesso al papà di Renzi. Nel pizzino c’era scritto 5mila euro ogni due mesi per Russo, quindi rispetto all’entità dell’appalto mi sembra poco, però chissà quanti altri ce ne sono e quindi alla fine raggiungi cifre che sono superiore alla corruzione del ‘92. Il centro Einaudi nel ‘92 calcolò che la corruzione sottraeva alla casse pubbliche l’equivalente di 10 miliardi di euro.

Adesso, secondo i calcoli più prudenziali, la corruzione costa allo stato italiano 70-80 miliardi di euro.

Secondo lei è più radicata la corruzione rispetto ad allora?

È più diffusa, nel senso che è più democratica. Ci sono molte più persone a livelli molto più bassi che rubano rispetto all’epoca.

Alfredo Romeo si giustifica dicendo che senza tangenti sarebbe stato escluso a priori, ma è così? Oggi non si potrebbe fare altrimenti?

In pratica diceva che era legittima difesa perché altrimenti gli appalti li vincevano gli altri. Se le tangenti le pagano tutti, o lo fai anche tu o fai la fine di Ambrogio Mauri che ha fallito e si è sparato. È chiaro che lui era un piccolo bullone nell’ingranaggio, mentre Alfredo Romeo è uno dei grandissimi pigliatutto negli appalti pubblici. Quindi, quella lamentela lì – a parte che non può esistere: se sai che una gara è truccata, invece che pagare tangenti per metterti in pari, vai dai Carabinieri e la fai annullare – è ovvio che non è una giustificazione. Fra l’altro la potrebbe usare un piccolo imprenditore che sta cercando di emergere, ma che viene schiacciato dal sistema della corruzione, non certamente uno che vince tutti gli appalti dell’amministrazione d’Italia da 30 anni.

Raffaele Cantone, durante una conferenza alla Statale di Milano, ha affermato che ancora prima che le leggi e la repressione, è necessario un “momento educativo”. È d’accordo?

Sì, ma bisogna vedere cosa significa. Fare lezioni nelle scuole, spiegare i danni della corruzione è molto importante, ma poi ci vogliono gli esempi.

“Momento educativo” nel senso di risvegliare una coscienza nella persone.

Sì, è fondamentale. Soprattutto spiegare che il sistema della corruzione non ti fa vivere meglio, ma peggio. Se oggi lo stato italiano non ha mai un euro da destinare alle fasce deboli e alle migliaia di persone senza un reddito minimo, non è perchè è cattivo, ma perché la spesa pubblica viene pesantemente dominata dalla corruzione e quindi le opere pubbliche da noi costano il doppio rispetto ad altrove. E sono soldi dei cittadini pagati in tasse.

Però, secondo me, il punto debole del discorso di Cantone è che il “momento educativo” passa attraverso gli esempi. Se vedi grandi ladri di stato che hanno rubato miliardi finire in galera vieni immediatamente  educato da quell’esempio, cioè capisci che la legge è uguale per tutti e non ce n’è per nessuno. Quindi l’educazione passa anche dalla paura delle conseguenze. Non puoi pensare di convincere tutti ad essere buoni e virtuosi perché devi pensare che c’è una fascia di popolazione che bada alla convenienza. E allora ogni volta che si trova li li a decidere se pagare e prendere o meno una tangente, se ha paura di finire in galera magari decide di non  pagarla e di non la prenderla. Se invece sa che in galera non ci finisce nessuno a certi livelli, la prendono e la pagano. Dunque, l’educazione passa anche attraverso gli esempi.

Io sono convinto che se in italia arrestassero cento evasori fiscali, l’evasione fiscale crollerebbe perché comincerebbero a spaventarsi temendo di fare la stessa fine. Invece, quando vedi che nessuno finisce in galera per evasione fiscale, le tasse le evadi.

Cambiando argomento, lei sottolinea spesso come l’editoria influenzi il giornalismo. Qual è la sua opinione riguardo la fusione del gruppo Espresso con ITEDI? Crede che possa essere considerato un rischio per il pluralismo informativo?

Ormai si è realizzata anche se non è stata ufficializzata, infatti i due gruppi viaggiano di pari passo. Laddove prima avevamo tre gruppi editoriali – La Stampa, Secolo XIX e La Repubblica – adesso ne abbiamo uno solo. Il che vuol dire che se prima c’erano tre voci, delle quali magari non ce ne piaceva nessuna, ma ciascuna di esse era una autonoma, di quel gruppo editoriale, di quel direttore e di quel pool di giornalisti, adesso diventa una sola voce di un solo gruppo. Tutto ciò accade a discapito del giornalismo perché, ovviamente, più voci ci sono e meglio è. Più le voci si restringono e si concentrano meno pluralismo c’è.

Chiarissimo. Il Fatto Quotidiano dichiara di essere un giornale indipendente perché non prende finanziamenti pubblici. Nonostante ciò viene spesso criticato perché troppo schierato con il Movimento 5 Stelle. Lei come si difende da questa accusa?

Mi difendo dicendo che bisogna guardare la cronologia degli eventi. Noi siamo nati prima dei 5stelle. Certe battaglie che fanno i 5stelle sono battaglie che io, Gomez, Barbacetto, Padellaro e altre firme del Fatto facevamo quando i 5stelle non esistevano e quando ancora Grillo spaccava i computer agli spettacoli. Noto che molti che ora fanno parte dei 5stelle prima erano vicini a movimenti per la legalità e hanno seguito le nostre battaglie, quindi quando parlano spesso risento cose che dico da vent’anni.

In realtà non siamo noi ad essere il giornale dei 5stelle, anche se abbiamo all’interno molti dei loro elettori, sono loro che hanno fatto proprie le nostre battaglie.

Dato che io sono coerente, continuo a credere nelle mie battaglie e non cambio idea a seconda delle legislature, sono persino contento che ci siano dei politici che le portino avanti. Che abolissero i vitalizi lo dicevo da prima lo facessero anche i 5stelle, come anche che bisognasse cacciare i condannati dal Parlamento, questione su cui ho scritto vari libri. Il fatto che ci sia qualche politico che cerca di farlo mi fa piacere, ma non mi impedisce di dire ai 5stelle che sbaglino su tante cose, per esempio quando fanno delle finte primarie online dove, se non vince quello che vuole Grillo, si rifanno.

Però, parliamoci chiaro. Che siete un po’ più morbidi è vero, no?

No, non siamo affatto morbidi. Noi siamo inflessibili. Il giorno in cui è venuta fuori la polizza di Romeo, io ho detto che se la Raggi sapeva che era stata aperta per farle avere un vantaggio dopo aver ottenuto la carica di capo segreteria, si doveva dimettere. Poi i giudici hanno accertato che non lo sapeva. Ho anche chiesto le dimissione della Muraro per aver mentito all’intervista al Fatto Quotidiano (riguardo la sua iscrizione al registro degli indagati, n.d.r.), quindi li trattiamo tutti allo stesso modo.

Se sembriamo più morbidi è perché gli altri giornali i 5stelle li trattano pregiudizialmente come dei criminali. Li attaccano qualunque cosa facciano. Hanno detto sì allo stadio e li hanno attaccati, ma lo avrebbero fatto anche se avessero detto no. Li attaccano se dicono no alle Olimpiadi, ma lo avrebbero fatto anche se avessero detto sì. Li attaccano a prescindere, per partito preso. Io non attacco nemmeno Berlusconi a prescindere, nel senso che se dovesse dire qualcosa di saggio o dovesse schierarsi con una battaglia giusta come quella del “No” al referendum, tanto di cappello. Magari non lo voleva, ma ha reso un servizio all’Italia portando gente del centrodestra a votare “No” alla riforma costituzionale. Io non sono mai pregiudiziale con nessuno, io li giudico per le cose che fanno.

Dato che tutti gli altri giornali gli sparano contro a prescindere, indipendentemente da quello che fanno, il fatto che esista un giornale che li giudica di volta in volta a seconda di quello che decidono, ci fa sembrare come morbidi. In realtà se i 5stelle dovessero tenere in Parlamento un condannato, io gli sparerei addosso esattamente come sto facendo con il PD che sta tenendo in Parlamento un condannato (Minzolini, n.d.r). Anzi, forse mi incazzerei ancora di più perché avevano promesso altro rispetto a quello che ha promesso Renzi.

Concludiamo con Berlusconi. Crede che, se potesse candidarsi, lui come personaggio prenderebbe ancora molti voti?

Non credo. Credo che la sua stagione come leader solo al comando sia finita. Cerca di esercitare un potere di intermediazione. Hai visto che da una parte ha cercato di rendersi indispensabile a Renzi per mercanteggiare qualcosa in cambio. Adesso che Renzi ha perso il referendum non può più fare un accordo con lui, quindi tenta un accordo con Salvini e la Meloni per fare un centrodestra che magari arrivi secondo e che abbia dei voti da regalare ad un governo del PD per una larga coalizione che tenga fuori i 5stelle nella prossima legislatura. Di quello si accontenta, credo che nemmeno in cuor suo pensi mai che potrà ritornare a fare il Presidente del Consiglio.

Barbara Venneri
Non chiamatemi Vènneri.

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