«Non c’è stata nessuna presa della Bastiglia, niente di comparabile all’incendio del Reichstag e l’incrociatore Aurora non ha ancora sparato nessun colpo di cannone. Tuttavia, l’assalto è stato già lanciato ed è stato coronato dal successo: i mediocri hanno preso il potere» (Alain Deneault, Mediocrazia, 2016)
Assistiamo con assillante angoscia alle tragedie del mondo, odiamo o ammiriamo personaggi che ci si mostrano attraverso schermi, obbediamo con morbosa riverenza a regole delle quali non capiamo o non ci domandiamo il senso, viviamo nella disperata ricerca di trovare una strada da seguire, ossessionati dal futuro, consapevoli della sterminata serie di possibilità che ci riserva, ma nel terrore di dover fare una scelta. Sappiamo di dover stare al passo coi tempi e con i ritmi del sistema, di soddisfarne le aspettative, “di puntare in alto” per esserne all’altezza. Dobbiamo adeguarci ad un certo standard di vita perché la nostra vita abbia un senso.
Abbiamo imparato a stare in silenzio davanti all’ingiustizia compiuta dal potente perché viviamo nell’idea che la libertà d’azione di un individuo si dia in funzione del potere materiale e del ruolo sociale che gli appartengono. Misuriamo il valore delle cose in base alla distanza economica che ci separa dalle stesse. Veneriamo il denaro come garanzia di indipendenza. Accettiamo che la libertà del nostro tempo sia vincolata a obblighi. Ci offriamo e rispettiamo con sorriso ipocrita abitudini, strutture e ideologie che non capiamo e addirittura odiamo quando — raramente, nel sistema che ci inghiotte e non ammette i perché — ci concediamo di giudicarle. Siamo mediocri.
La mediocrazia, è il potere di chi non ama prendere posizione. E’ la paradossale e straordinaria forza che oggi si trova nelle mani di chi non osa compiere scelte e non è abituato a fare domande — neanche a se stesso. Proprio questo concetto di estrema attualità è il tema e il titolo dell’ultimo libro del filosofo canadese Alain Deneault, uscito in Italia il mese scorso per Neri Pozza Editore. Alain Deneault illustra perfettamente attraverso esempi e riferimenti cosa sia il potere dei mediocri, presentandolo in primo luogo come causa ed effetto della deriva della società contemporanea.
Nel meccanismo perverso e vizioso che ci inghiotte, la mediocrità è il prodotto e l’obiettivo. Il mediocre è l’uomo di successo, è colui che non necessariamente è impreparato, anzi, è bene che sia esperto, che sappia fare bene il suo mestiere. Il mediocre, per essere mediocre, non deve essere incompetente, è sufficiente che sia debole e passivo. Non deve essere né incapace, perché dannoso, né supercompetente, perché critico.
Il mediocre deve essere efficiente, utile ma nascosto, silenzioso quanto basta per non essere elemento di disturbo, dal momento che ciò che importa è il suo lavoro e non la sua presenza.
Chi è paralizzato davanti a una scelta, per ignoranza o per debolezza, chi dunque non ha paura, anzi, desidera, affidarsi ad altri o semplicemente tacere e nascondersi, si ritrova incredibilmente avvantaggiato. Perché? Perché serve. Serve in tutti i sensi, perché è utile alla sopravvivenza del sistema stesso e perché sta ai suoi ordini; perché è al suo servizio, perché è una pedina che contribuisce al suo funzionamento, perché ubbidisce al padrone dato che, semplicemente, è quello il suo lavoro; perché non fa domande al potente — che è superiore nella gerarchia e quindi più meritevole di riguardi, dal momento che il mediocre crede che il rispetto sia dovuto in funzione del ruolo — che gli garantisce una retribuzione, unico suo interesse.
Il mediocre fa comodo alla politica: a quella democratica che accetta tutto e a quella autoritaria che impone il pensiero unico. Entrambe, infatti, marciano sull’indifferenza. Fa comodo all’economia, perché il cittadino mediocre considera il denaro, solo il denaro, dotato di valore e sola cosa che dà valore a tutto il resto.
L’effetto della mediocrità ricade sull’istruzione, in particolare sul sistema universitario, il cui obiettivo diventa produrre «cervelli pronti» — che non devono sapere ma saper lavorare — da offrire ai propri clienti, alle multinazionali, alle grandi società alle quali essa stessa si svende. E le conseguenze del potere dei mediocri si vedono in tutte le professioni: dal professore di ruolo, che “invidia” quello a contratto perché “almeno a lui è rimasto un po’ di tempo per leggere e scrivere”, all’impiegato che non sa per cosa lavora, al tragico e tanto frequente fatto che sempre più ragazzi decidono di frequentare facoltà abitualmente considerate come professionalizzanti non tanto perché ambiscono, in futuro, a fare quel lavoro, ma perché vogliono, semplicemente, lavorare.
In questo senso Alain Deneault ci apre gli occhi e ci mette in guardia, illustrandoci qualcosa di tanto semplice e troppo trascurato: l’importanza del pensiero critico e dell’autonomia della ragione. Porsi delle domande, chiedersi perché le cose vanno così, chiedersi se ha senso che sia così, non è un gioco da filosofi, né un discorso fine a se stesso, tenuto a tempo perso. L’individuo mediocre, che accetta e annuisce in silenzio, finisce per diventare immobile davanti a tutto e soprattutto all’imprevisto (sia esso positivo o negativo, è indifferente, essendo incapace di valutare). E’ pigro e disinteressato a fatti che reputa lontani e paralizzato quando lo coinvolgono.
In particolare, Deneault fa presente che, cedendo alla mediocrità, il rischio più grave è di finire col sentirsi deboli e incapaci, troppo “medi” per agire, irrilevanti per prendere posizione, non abbastanza competenti per essere ascoltati e — se per caso capita, di riflettere sulla propria responsabilità — di chiedersi, tra sé e sé, «Cosa posso fare, io, Piccola Cosa?» sperando, in cuor nostro, che qualcuno ci dica che no, che non ha senso preoccuparsi per nulla, che è inutile darsi pensiero, che tanto non possiamo farci niente.