Vi è qualcosa di speciale nelle scogliere coralline tropicali (reef). L’acqua tiepida e limpida, i colori spettacolari e la moltitudine di esseri viventi incantano chiunque le osservi. Le barriere coralline rivaleggiano con l’altra grande comunità tropicale, la foresta pluviale, per bellezza, ricchezza e complessità. La Grande Barriera Corallina (Great Barrier Reef), situata al largo della costa del Queensland, nell’Australia nord-orientale, è la barriera di corallo più grande del mondo, ed è anche la più conosciuta. La barriera ospita oltre 1500 specie di pesci, sei delle sette specie di tartarughe marine esistenti e 30 specie tra balene e delfini. Se questo non bastasse, come sito Patrimonio dell’Umanità UNESCO è un baluardo del turismo, che ha creato circa 70.000 posti di lavoro e contribuisce all’economia australiana con oltre 6 milioni di dollari.
Il 21 Marzo con una didascalia ad una foto pubblicata, la testata di Nathional Geographic, ha dichiarato: «Dopo 25 milioni di anni, l’intero ecosistema della Great Barrier Reef australiana è stato dichiarato morto dagli studiosi. L’innalzamento della temperatura dell’acqua ha scatenato il fenomeno dello “sbiancamento” che provoca l’indebolimento delle alghe e lo scolorimento dei coralli.» La frase è ad effetto ma non del tutto vera, dato che nessuno studioso ha dichiarato morta la Grande Barriera Corallina Australiana, e sembra fatta più per dar adito a sensazionalismi e conclusioni affrettate che per condurre i lettori ad un’indagine che riesca a trovare a possibili soluzioni.
Per provare a discernere il vero dal falso bisogna andare un po’ più a fondo e ampliare le nostre conoscenze riguardo l’argomento. Le barriere coralline possono essere definite come biocostruzioni di carbonato di calcio o calcare (CaCO3), depositato da alcuni organismi marini. I più importanti di questi costruttori, come è possibile immaginare, sono i coralli.
Corallo è un termine generico che definisce numerosi gruppi di Cnidari, per intenderci è il gruppo in cui gli zoologi annoverano le meduse.
I polipi corallini sono simili a piccoli anemoni di mare. La maggior parte dei coralli costruttori di barriere è costituita da colonie di parecchi polipi, tutti connessi fra loro. Quasi tutti contengono al loro interno alghe simbionti, chiamate zooxantelle, le quali li aiutano a fabbricare i loro scheletri di carbonato di calcio. Lo scheletro forma quasi tutto il volume della colonia. I coralli sono in grado di produrre scheletri anche in assenza di zooxantelle, ma con estrema lentezza, neanche lontanamente sufficiente a costruire una barriera. Le zooxantelle nutrono il corallo ospite, oltre ad aiutarlo a depositare il suo scheletro calcareo. Esse effettuano la fotosintesi, trasferendo al corallo una parte della materia organica che producono.
Molti coralli possono sopravvivere e crescere anche senza alimentarsi purché le zooxantelle abbiano luce a sufficienza. Gli organismi costruttori di barriere hanno esigenze molto particolari che determinano in quali luoghi si svilupperanno le barriere. Le barriere sono rare sui fondali molli, perche le larve di coralli hanno bisogno di insediarsi su di una superficie dura; crescono solo in acque poco profonde e limpide, in cui può penetrare la luce, perché le zooxantelle da cui dipendono hanno bisogno di luce. Anche l’acqua troppo calda è dannosa per i coralli. Il limite superiore di temperatura può variare, ma, in genere si aggira intorno ai 30-35°C. Il primo segno esteriore di stress termico,è lo sbiancamento (bleaching) che ha luogo quando il corallo espelle le proprie zooxantelle. Tale fenomeno è chiamato sbiancamento perché le zooxantelle, bruno-dorate o verdastre, conferiscono ai coralli gran parte del loro colore; in loro assenza il tessuto è quasi trasparente e il corallo appare bianco, a causa dello scheletro calcareo sottostante.
Durante gli eventi di circolazione atmosferica noti con l’appellativo di El Niño, si osservano diffusi fenomeni di sbiancamento e mortalità dei coralli, in quanto El Niño trasporta acqua insolitamente calda in molte parti dell’Oceano Pacifico Centro-Meridionale e Orientale.
Dobbiamo ricordare che lo sbiancamento dei coralli ed El Niño sono eventi naturali, e una parte dell’apparente aumento di fenomeni di bleaching può semplicemente riflettere il fatto che oggi è molto più probabile che il fenomeno venga osservato e segnalato, rispetto al passato. La documentazione delle temperature indica che gli eventi di El Niño più intensi si verificarono probabilmente verso la metà del XVII secolo, ben prima che la rivoluzione industriale iniziasse ad intensificare l’effetto serra. Verosimilmente ne seguì un ampio sbiancamento dei coralli. D’altra parte non c’è dubbio che molte barriere in tutto il mondo sono state danneggiate dalle attività umane, come estrazioni minerarie, disboscamenti, costruzioni e drenaggi, che aumentano notevolmente il flusso di sedimento sulla barriera riducendo la capacità di penetrazione della luce.
Torniamo adesso alla morte della Grande barriera corallina annunciata da Nathional Geographic. Quando si verificano fenomeni di sbiancamento non vuol dire che il corallo sia già morto. Il corallo potrebbe ancora riprendersi e questo succede, come hanno scoperto gli scienziati guidati da Tracy Ainsworth, ricercatrice all’ARC, Centre of Excellence for Coral Reef Studies, di Townsville (Australia), quando i coralli subiscono un alternarsi di temperature medie e temperature più estreme. In questo modo, i coralli sviluppano maggiore adattabilità alle alte temperature in quanto è come se avessero la possibilità come racconta Ainsworth “di fare pratica e allenarsi”. Quello del 2016 è stato il terzo maggior episodio di sbiancamento che ha colpito la Grande Barriera Corallina, dopo le ondate di calore del 1998 e del 2002. La situazione è grave, ma è ancora possibile invertirla. Se fenomeni naturali come quelli di El Niño sono inevitabili possiamo almeno ridurre gli aumenti repentini di temperatura dovuti alle attività di cui siamo direttamente responsabili. I falsi miti non sono certo un buon modo di cominciare!