Del: 21 Maggio 2017 Di: Federico Sarchiapone Commenti: 0

Una mattina autunnale, presso l’Aula Magna di via Roentgen dell’Università Bocconi, si stavano riunendo personalità di spicco del mondo della scienza e della politica.
Era il 18 novembre 2016, si trattava dell’ottava conferenza mondiale di Science For Peace, un progetto della fondazione Umberto Veronesi. Il tema da affrontare era uno dei più spinosi e dibattuti degli ultimi tempi: il fenomeno delle migrazioni e il futuro dell’Europa.

Non ci si è limitati a fornire una descrizione del fenomeno, che risultava drammatico a tutti, si è tentato, invece, di dimostrare scientificamente come essa non sia un’emergenza provvisoria, ma un processo destinato a protrarsi nel tempo, bisognoso quindi di soluzioni durature e non emergenziali. Come era stato sottolineato dall’intervento di Guido Barbujani, professore di genetica all’università di Ferrara, e da Laura Zanfrini professoressa di sociologia delle migrazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, le migrazioni sono un fenomeno congenito dell’essere umano. Durante un’altra conferenza – Tedx Milano 2016 -,Barbujani aveva emblematicamente affermato:

discendiamo da un piccolo gruppo di africani che 70.000 anni fa al momento giusto, ha fatto la scelta giusta: è emigrato.

Secondo i dati forniti da UNHCR – United Nations High Commissioner for Refugees – in Europa si è assistito ad una crescita di sbarchi fino al 2015 (1.015.079 di cui 857 mila in Grecia e 154 mila in Italia) per poi affievolirsi nel 2016 (362.653) e raggiungere la cifra aggiornata a maggio 2017 di 55.215.

Nel tentativo di interpretare questi numeri possiamo supporre che siano una conseguenza dell’accordo trovato con la Turchia, più volte denunciato di essere in piena violazione del diritto internazionale. Esso rispecchia perfettamente le logiche di breve termine e scoordinate, attuate nel panorama europeo. Ne è una riprova la mal congegnata riforma dei regolamenti di Dublino.

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La politica italiana non si distacca particolarmente da queste prospettive e sposa anch’essa soluzioni di breve periodo, contrarie a visioni di più ampio respiro. Per spezzare una lancia in favore del nostro paese, bisogna pur sempre ribadire l’enorme pressione a cui siamo sottoposti nella gestione dei migranti.

In questo scenario si inserisce la legge di conversione del decreto-legge 17/02/2017, n. 13, più consciuto come Decreto Minniti.

Esso si colloca nella disciplina dettata dal Testo Unico sull’immigrazione modificato nel 2002 dalla legge Bossi-Fini e, successivamente, dal pacchetto sicurezza emanato durante il governo Berlusconi del 2008.

Il titolo recita «Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale».

Dall’analisi delle norme, si apprende, con favore, che vengono istituite 26 sezioni di tribunale specializzate in materia di immigrazione e protezione internazionale (nel testo iniziale del decreto-legge erano 14). Esse avranno sede presso i capoluoghi di Corte d’Appello e i magistrati che le comporranno dovranno, nell’arco di un biennio, sottoporsi a corsi di specializzazione per una migliore comprensione della materia. Tra le competenze assegnate a tali sezioni figurano: le impugnazione dei provvedimenti di trasferimento emanati dalle commissioni territoriali, preposte all’esame delle domande di protezione internazionale, e il riconoscimento della protezione internazionale.

È nei riguardi di queste materie che la semplificazione risulta eccessiva, arrivando fino ad assumere profili di evidente incostituzionalità.

Viene previsto, per il riconoscimento della protezione internazionale (per intendersi, lo status di rifugiato), un modello processuale di tipo camerale (senza udienza pubblica), con udienza orale (ossia presa visione della videoregistrazione del colloquio effettuato presso la commissione territoriale) di durata massima di 4 mesi, che si conclude con un decreto non reclamabile (abolizione del secondo grado di giudizio) ma ricorribile per cassazione.

Viene quindi eliminata la possibilità di usufruire di un processo nel rispetto del principio del contraddittorio, in nome della semplificazione.

Riguardo ai giudizi di impugnazione delle decisioni di trasferimento adottate dalle commissioni territoriali, questi vengono svolti sempre in camera di consiglio e, conclusi con un decreto non reclamabile, impugnabile solo con ricorso per cassazione.

Inoltre, viene potenziata la rete dei centri di identificazione ed espulsione che vengono rinominati “centri di permanenza per il rimpatrio”.

Si evince, da questa breve analisi, che l’intento del legislatore è stato, più che una semplificazione, un irrigidimento delle procedure di espulsione, trasformando quelli che dovevano essere dei processi in meri procedimenti.

In aggiunta, si capisce che la principale preoccupazione sia quella di espellere e non di cercare quelle tanto agognate soluzioni di lungo periodo.

C’è bisogno di una risposta politica che non sia esclusivamente attenta alla risoluzione dei problemi posti sulla punta dell’iceberg, approccio caro ai quei movimenti definiti da Emma Bonino come “l’internazionale populista”, ma che cerchi piuttosto, di prendere decisioni di cui probabilmente non potrà apprezzare conseguenze e risultati.
Certo, tali proposte presuppongono una coesione politica internazionale che al momento pare essere un fievole miraggio.

 

Federico Sarchiapone
Studente di giurisprudenza, appassionato di politica e delle sue ripercussioni sul diritto. Amo l'italianità ma cerco di avere una visione cosmopolita.

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