Del: 29 Maggio 2017 Di: Francesco Albizzati Commenti: 0

Cento anni fa, a Brookline, Massachusetts, nacque quello che sarebbe diventato il più giovane presidente americano eletto, nonché il primo a essere cattolico e di origine irlandese: John Fitzgerald Kennedy.

I suoi mille giorni di governo sono ricordati come l’inizio di una nuova era per gli Usa, tragicamente interrotta dall’assassinio di Dallas del 22 novembre 1963.

Gli storici si dividono fra chi considera la sua come una “presidenza incompiuta”,  e chi invece sottolinea la portata rivoluzionaria delle sue idee e delle battaglie in materia di diritti civili ed economia.

Un sondaggio Gallup del 2011 lo metteva al quarto posto fra i presidenti più amati di tutti i tempi, dopo Reagan, Lincoln e Clinton. Su JFK molto si è scritto e detto, in particolare sui tre episodi che hanno segnato la sua presidenza: la tentata invasione della Baia dei Porci, la crisi missilistica cubana e l’assassinio; o della sua passione per le donne e la vela.  Ma ci sono degli aspetti della sua personalità e della sua carriera ancora poco noti. Fra i tanti, ecco i dieci più curiosi.

  • JFK non fu certo il primo in famiglia a fare politica: il nonno materno, John Fitzgerald, fu sindaco di Boston; quello paterno, Patrick Kennedy, fu deputato e senatore nello stato del  Massachusetts.
  • La carriera politica di JFK fu un susseguirsi di vittorie: nel ‘45 venne eletto deputato, nel ‘56 senatore e nel ‘60 presidente. L’unica elezione che perse fu quella per la nomination come vicepresidente di Adlai Stevenson, candidato alla presidenza per i democratici nel ‘56. Il risultato negativo fu però visto di buon occhio dal padre: intuendo che i repubblicani avrebbero vinto di nuovo, l’essere stato escluso da una campagna fallimentare non poteva che essere un bene per Jack.
  • JFK fu affetto fin dall’adolescenza dal morbo di Addison, una malattia delle ghiandole surrenali caratterizzata da una carenza degli ormoni necessari a regolare zucchero, sodio e potassio nel sangue. Le cure con le iniezioni di DOCA (un farmaco a base di corticosteroidi) gli provocarono, come effetto collaterale, un’osteoporosi alle vertebre che non riuscì mai a debellare completamente.
  • La vittoria alle presidenziali contro Nixon, netta nell’assegnazione dei grandi elettori, fu invece risicata a livello di voto popolare: circa 120 mila voti separarono i due contendenti. Sebbene JFK avesse condotto una campagna eccellente, culminata nella vittoria al dibattito televisivo, in molte frange della popolazione era forte la ritrosia a dare il voto per un candidato dichiaratamente cattolico.
  • I rapporti con Johnson, suo vice, non furono mai idilliaci. A unirli furono il calcolo politico: Johnson, texano, poteva garantire a Kennedy i voti degli stati del Sud; viceversa, la vicepresidenza rappresentava l’ultima speranza per LBJ di ambire un giorno alla carica più alta.
  • JFK vinse il premio Pulitzer “Biografia e autobiografia” nel 1957 con Profiles in courage (“Ritratti del coraggio”), in cui descrisse gli atti di coraggio e integrità di otto senatori degli Stati Uniti lungo tutta la storia americana.
  • Nel 1954 rischiò di morire per i postumi di un intervento alla schiena. Si era fatto innestare delle placche d’acciaio nelle vertebre su consiglio dei medici, ma queste avevano causato una suppurazione interna. La situazione fu critica al punto che gli venne data l’estrema unzione.
  • Benché appartenenti a due campi politici diversi, Kennedy ed Eisenhower si stimavano reciprocamente, tanto che l’ex presidente in diverse occasioni venne convocato alla Casa Bianca dal suo giovane successore per avere consigli e suggerimenti.
  • La questione razziale fu al centro della presidenza Kennedy, anche se i progressi furono più simbolici che effettivi. Osteggiato da un senato a lui inviso, il presidente sapeva di muoversi su un terreno minato, ma questo non gli vietò di nominare Clifford R. Wharton ambasciatore in Norvegia. Fu il primo afroamericano a ricoprire tale carica in un paese a maggioranza bianca.
  • Durante un’intervista, alla domanda “come descriverebbe il suo lavoro?”, Kennedy rispose: «Ho una bella casa, l’ufficio è vicino e lo stipendio è buono».

Arhur Schlesinger, autore di A thousand days, affermò:

«Amava stare al centro dell’attenzione. Sotto pressione era sempre al suo meglio. E dopo ogni delusione diventava ancora più determinato».

Un atteggiamento del genere può in parte spiegare perché JFK considerasse i problemi di salute non come un ostacolo alla presidenza ma come una sfida che gli dava soddisfazione vincere.

Francesco Albizzati
Penso, scrivo, parlo: spesso ironicamente. Allergico agli -ismi.

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