In un celebre quadro di Eastlake Napoleone, a bordo del vascello inglese “Bellerofonte”, fissa l’orizzonte con lo sguardo perso. La rotta non è chiara e non si profila alcuna terraferma, neanche da lontano. La sua destinazione è l’isola di Sant’Elena, sperduto fazzoletto nell’Atlantico, lontano da tutto e da tutti.
Eastlake, che era a bordo della nave, ritrasse quella scena per lasciar traccia dell’istante in cui l’ex imperatore capisce che tutto è finito. Che si tratti o meno di una licenza artistica poco importa. L’immagine rappresenta a meraviglia il dilemma attorno a questa figura così seducente.
Non fu solo Manzoni a chiedersi se quella di Bonaparte fu vera gloria. L’avventura napoleonica era partita dal basso, dalla Corsica, l’isola appendice di una Francia vogliosa di colonie.
Famiglia borghese, ma ben lontana dai salotti. Eppure quest’uomo di un metro e sessanta scalò la vetta passo dopo passo, sfruttando i tumulti rivoluzionari e le sue incredibili abilità da comandante.
Senza l’esercito, però, non ci sarebbe mai stato Napoleone. E furono proprio le sue truppe, dopo la parentesi dell’esilio all’Elba, a favorirne il rientro trionfale a Parigi.
Un esercito che egli aveva condotto in lungo e in largo per l’Europa, alternando vittorie strabilianti – come ad Austerlitz, il 2 dicembre 1805- a campagne disastrose, come quella in Russia.
Ambizione sfrenata e fiducia nei propri mezzi: Napoleone si fece strada così, sconvolgendo il sistema politico europeo più di qualsiasi rivoluzione.
Fu il primo a pensare a un’Europa unita, non solo politicamente, ma anche sotto il profilo culturale e sociale. Stesse leggi, stessa moneta, stessa visione. Certo, il progetto prevedeva lui e Parigi al centro di tutto, ma queste idee segnarono i paesi sottomessi in maniera radicale. Se oggi ci si registra all’anagrafe, o ci si sposa in comune, è a Napoleone che lo dobbiamo. Stesso discorso per la diffusione del sistema metrico decimale, la raccolta rifiuti e la disposizione dei cimiteri ai limiti delle città. Senza la sua azione, gli effetti della rivoluzione francese si sarebbero limitati alla sola Francia. La Grande Armée non portò soltanto guerra e distruzione, ma trovò terreno fertile per idee che avrebbero segnato le vicende politiche di tutto l’Ottocento. Basti pensare al caso italiano, dove società come la carboneria e in seguito la Giovine Italia ebbero tra le loro fila moltissimi ex ufficiali bonapartisti.
Napoleone aveva lanciato forte e chiaro questo messaggio: chiunque può scrivere la Storia, basta volerlo.
La Restaurazione cercò poi di tornare indietro di vent’anni, ma non vi riuscì. Il culto della persona e del suo progetto imperialista fece proseliti lungo tutto l’Ottocento e non solo: dal suo stesso nipote, Napoleone III, a Bokassa, il sanguinario dittatore del Centrafrica post coloniale.
Quel carisma, che colpì intellettuali come Goethe, Manzoni, Beethoven, Foscolo, Hegel, continuò a colpire in molta parte della società. In bene e in male, perché credersi Napoleone è uno dei luoghi comuni della pazzia.
Il 5 maggio 1821 l’ex imperatore morì, probabilmente di cancro allo stomaco, nel bel mezzo dell’oceano. Rincorse la fama fino a raggiungerla. Cercò la gloria, in maniera disperata, fra battaglie e nazioni sottomesse. La trovò invece facendosi portavoce – volontario o meno- di idee che ancora oggi segnano il nostro modo di essere e pensare.
La rotta del “Bellerofonte”, forse, non era poi così misteriosa.