Del: 13 Maggio 2017 Di: Roberta Pasetti Commenti: 0

Si è concluso da poco a Oakland, California, il congresso scientifico internazionale Psychedelic Science 2017 il cui tema era l’effetto delle droghe psichedeliche. Quest’anno grande attenzione è stata riservata a nuove ricerche le quali sembrano dimostrare i benefici che l’utilizzo di queste sostanze può portare ai pazienti affetti da depressione.

Interessante è il lavoro di Dráulio Barros de Araújo, neuroscienziato dell’Universidade Federal do Rio Grande do Norte in Brasile, che ha presentato i suoi risultati sull’impiego di ayahuasca, una birra allucinogena derivata da corteccia e foglie, nel trattamento della depressione.
Lo studio, dopo una prima prova in cui, però, l’effetto placebo non venne considerato, è stato condotto su 35 volontari affetti da depressione e resistenti ai farmaci comuni. La sperimentazione è avvenuta in “doppio cieco”: inizialmente né i pazienti né i medici sapevano chi aveva ricevuto il placebo e chi l’ayahuasca. I pazienti, dopo un primo stadio in cui tutti hanno dichiarato di sentirsi meglio, hanno cominciato a rispondere in maniera diversa e, quelli che avevano assunto la birra allucinogena, hanno avuto benefici clinici oggettivi sulla loro depressione (dati ancora non sottoposti a peer-review NdR)

Parallelamente agli studi di Araújo, anche Leor Roseman, dottorando dell’Imperial College di Londra, ha sottoposto 20 volontari affetti da depressione all’assunzione della psilocibina, contenuta  nei funghetti magici.

I pazienti in questione hanno dimostrato significativi miglioramenti fino a cinque settimane dall’assunzione: alcuni sono poi regrediti, altri no.

Roseman, che per ora può solo fare congetture, crede che le diverse risposte siano dovute alla dose di psilocibina assunta dai diversi malati.

Anil Seth, neuroscienziato dell’Università del Sussex (Regno Unito), invece, ha rianalizzato i dati ottenuti da Robin Carhart-Harris, pioniere di questi studi che ha monitorato l’attività cerebrale di 19 persone sotto ketamina, 15 che avevano assunto LSD e 14 sotto l’influenza di psilocibina. Seth e Carhart-Harris hanno suddiviso i dati in singoli segmenti di 2 secondi ciascuno, studiandoli poi nel dettaglio, scoprendo così che l’attività neurale era divenuta improvvisamente più imprevedibile, soprattutto nelle aree coinvolte nella percezione.

Amanda Feilding, direttore esecutivo della Beckley Foundation, afferma che le droghe psichedeliche sembrano uniche nella loro capacità di produrre risultati duraturi dopo appena uno o due trattamenti, a differenza dei farmaci tradizionali che vanno assunti regolarmente. Studi pubblicati dalla Beckley Foundation, dimostrano che, sotto l’effetto delle droghe, parte del cervello correlata con il proprio ego diminuisce la comunicazione, mentre la stessa comunicazione con le altre reti viene espansa.

La particolarità di questi studi risiede nella differenza degli effetti sulle emozioni: i farmaci comunemente utilizzati inibiscono sia quelle negative sia quelle positive; le sostanze sopra citate, invece, intensificano ogni emozione, creando un “nuovo stato di coscienza” registrato clinicamente dalle scansioni cerebrali.

E se alla fine di tutto ciò vi chiedeste, come me, cosa significhi esattamente “psichedelico” Treccani risponde che, letteralmente, significa “rivelatore della psiche” e si indica perciò, in questo modo, l’effetto di “allargamento della coscienza” indotto dall’assunzione degli allucinogeni.

Questo termine, inoltre, fu coniato dallo psichiatra Humphry Osmond, 50 anni fa, con una “poesiola”, letta per la prima volta davanti ai colleghi della New York Academy of Sciences, che fa così:
“To fathom Hell or soar angelic/ Just take a pinch of psychedelic”.

Roberta Pasetti
Studentessa di lettere. Nisi Alexander essem, ego vellem esse Diogenem.
Può bastare così.

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