Del: 27 Ottobre 2017 Di: Redazione Commenti: 0

Francesca Ferrari

Sempre più frequentemente il binomio libro-film risulta un elemento imprescindibile nella realizzazione della sceneggiatura di film e serie tv. Molti registri e sceneggiatori scelgono di portare sul grande schermo storie tratte dalla carta stampata

Quello che però viene da chiedersi è se la scelta di trasporre un libro su pellicola sia spinta dall’intenzione di incentivare il mercato editoriale, ormai fortemente in crisi, promuovendo grandi classici e scrittori emergenti, o se semplicemente sia ormai difficile trovare nuove idee da proporre per il grande schermo. Da una parte, alcuni affermano che basarsi su prodotti editoriali sia un modo facile per produrre film, dall’altra c’è chi sostiene che il lavoro di trasposizione, per via dei vari adattamenti, sia in realtà più complesso e lungo rispetto a quello necessario per un copione ex novo.

Prendiamo in esame alcuni film horror: It, Shining, Lasciami Entrare appartengono alla mano sapiente di due autori. Il primo è Stephen King, re indiscusso di questo genere, il secondo è l’autore svedese John Ajvide Lindqvist. Uno dei motivi per cui si prende in considerazione l’uso di storie già scritte, e talvolta di successo conclamato, è  legato alla volontà di “nobilitare” agli occhi del pubblico un genere solitamente percepito negativamente e considerato in grado di provocare solo paura e disgusto. L’idea è quella di partendo da storie con personaggi più intriganti e trame psicologiche più elaborate, in modo da ottenere un prodotto cinematografico meno scontato e più godibile.

Lo stesso discorso può valere nel caso completamente opposto: cioè, per i romanzi d’amore. Il fenomeno Nicholas Sparks è un esempio lampante, poiché quasi tutti i suoi scritti hanno subìto una trasposizione cinematografica. A differenza della collana Harmony e simili, i libri di Sparks hanno una struttura più complessa e le storie sono meglio articolate, suscitando in questo modo un certo interesse e immergendo completamente nella trama lo spettatore.

Si potrebbe dire che la componente psicologica di cui si impregna la trama diventi l’elemento che accomuna tutti i film di grande successo. Chiaro è che non basta solo questo, poiché tanti sono gli aspetti che compongono l’ossatura della pellicola: una scenografia vincente, un cast capace di interpretare al meglio la storia e un’équipe d’eccellenza. Senza dubbio, però, la storia in sé deve imprescindibilmente possedere un certo tipo di spessore. Dunque perché non attingere dall’ampio bacino dell’editoria libraria? Perché essere così critici e limitarsi a pensare che prendere un’idea già esistente sia più semplice che non crearne una partendo da zero?

Partire da un libro già noto risulta spesso molto complesso. In questi casi, infatti,  lettore si è già prefigurato nella sua testa i personaggi e il tipo di caratteristiche che dovrebbero avere, così come lo scenario e altri elementi.

Ricreare anche nel cinema quel legame tra uomo e libro non è impresa facile.

Poiché l’immagine è più immediata della parola, ci si aspetta che il film superi il legame empatico creatosi tra il libro e il lettore diventato spettatore. A volte il risultato può essere deludente, ma per quanto possa sembrare ovvio è bene ricordare che un film non è un libro e le tecniche cinematografiche non possono coincidere con quelle di scrittura.

Cinema e mondo letterario sono sempre stati grandi rivali, ma anche i peggiori nemici talvolta sanno collaborare e, quando avviene, nasce un lavoro davvero interessante.

I tentativi di dar voce e forma all’inchiostro, per quanto arditi e articolati, a volte possono produrre risultati strabilianti.

È allora che leggere e guardare (nell’ordine che preferite) I fratelli Karamàzov di Dostoevskij diventa un’attività piacevole. Notare le differenze e i punti in comune fra i due diventa motivo di discussione e alimenta sempre maggiore interesse per la cultura. Dopo tutto,  non importa in quale “abito” o forma questa si presenti, purché non svanisca, ma rimanga viva e pulsante.

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