Del: 8 Ottobre 2017 Di: Redazione Commenti: 0

Mattia Albano

“Fortunatamente in Italia esiste il Movimento 5 Stelle. Altrimenti, la crisi di sistema, avrebbe preso, con ogni probabilità, uno sbocco a destra”. Frasi di questa natura si sentono spesso pronunciare non solo, com’è naturale che sia, da semplici opinionisti, ma anche da parte di intellettuali di una certa levatura. Quanto c’è di vero in queste esternazioni? Il Movimento di Grillo, davvero rappresenta un argine ai populismi? O forse può essere anch’esso letto, al pari di altre formazioni politiche europee, come un fenomeno generatore ed alimentatore del populismo? La risposta a questi interrogativi, naturalmente, è tutto fuorché facile. Anche perché, il partito pentastellato, a differenza di tante altre formazioni di estrema destra emergenti nel Vecchio Continente, non ha né una storia, né una tradizione politica consolidata alle spalle. Appare del tutto evidente quindi, che una sua piena comprensione politologica, risulti essere alquanto complessa. Tuttavia è comunque possibile, attraverso un’analisi comparativa in termini di analogie/differenze, azzardare delle ipotesi sull’effettiva natura e caratterizzazione “ideologica” del movimento.

Partendo dalle differenze, non si possono chiudere gli occhi di fronte a due tratti caratteristici del movimento, che sembrano porlo in netta alternativa rispetto alle forze politiche nazionaliste tradizionali. Il primo riguarda l’ambiente: dalle battaglie contro i termovalorizzatori, alla contrarietà rispetto all’energia nucleare, i “grillini infatti hanno dimostrato e dimostrano, una sensibilità ambientale ed un approccio improntato alla sostenibilità, lontano anni luce dalle proposte retrograde dei vari Trump, Le Pen, ecc. La seconda differenza rispetto alle forze di estrema destra, riguarda invece l’attenzione per le nuove forme di democrazia deliberativa, che vedono nella cittadinanza, un soggetto sempre più partecipe ed attivo. Non solo, ma anche ignorando questi due tratti distintivi del movimento e considerando semplicemente la composizione del suo elettorato, si nota incredibilmente che appena 1 elettore su 5 si dichiara di centrodestra (fonte: Atlante politico Demos & Pi, ottobre 2016 -base: 1213 casi-). Questo dato, che ad un primo sguardo può apparire come una costante di tutti i partiti xenofobi, rappresenta in realtà una peculiarità del partito pentastellato. Perché, se da un lato è vero che i partiti nazionalsocialisti, laddove sono diventati egemoni, hanno allargato la loro base tradizionale di consenso anche ad un pezzo dell’elettorato di sinistra, è altrettanto vero che una percentuale così bassa di elettori di destra in questi partiti, difficilmente si è mai vista.

Ma accanto alle diversità appena evidenziate, vi sono anche delle forti analogie tra il partito di Grillo e le nuove formazioni estremiste di destra della Vecchia Europa, che difficilmente possono essere sottaciute.

In primis, una pesante retorica delegittimante nei confronti del Parlamento e, più in generale, della democrazia rappresentativa in quanto tale. Poiché, se da un lato la richiesta di una democrazia più vicina e tangibile alla cittadinanza, può essere considerata come una peculiarità positiva del movimento, dall’altro, è doveroso evidenziare come questa richiesta, si accompagni spesso ad un discorso pubblico di attacco costante ai corpi intermedi. Corpi intermedi che, ovviamente, costituiscono il nerbo portante di un efficace ed efficiente sistema democratico. Emblematiche, da questo punto di vista, la recente proposta fascistoide di cancellazione del ruolo di mediazione sindacale nei luoghi di produzione, da un lato, e la costante riproposizione dai vertici del movimento della dicotomia buoni/cattivi (in cui i buoni sarebbero gli aderenti alle tesi dei 5 stelle, mentre i cattivi tutti gli altri), dall’altro. Infine, e questa è l’affinità più inquietante tra il partito di Grillo e le formazioni politiche delle varie Le Pen, Trump, Farage, la forte trasversalità dell’offerta politica, unita ad un percorso di evoluzione che, sul terreno programmatico, può essere paragonato a quello dei nazionalsocialismi della prima metà del Novecento. Il movimento 5 stelle infatti, che si è affacciato sulla scena politica con un programma contenente sia proposte socialiste che nazionaliste, ha lentamente ma progressivamente, proprio come i nazionalismi dell’inizio del secolo scorso, abbandonato la componente socialista e mantenuto quella più nazionalista, diventando sempre più conciliante con gli interessi dell’establishment. Basti pensare alle recenti giravolte sull’euro e sull’immigrazione.

Appurate le affinità e i tratti distintivi, rimane inevasa la questione di fondo posta all’inizio.

E cioè, il Movimento 5 Stelle rappresenta un argine ai populismi oppure può essere anch’esso letto come un fenomeno generatore ed alimentatore del populismo? Mettendo sul piatto le due ipotesi, l’ago della bilancia, propende tristemente per la seconda opzione. Infatti, mentre le differenze che lo contraddistinguono dalle forze reazionarie, attengono a questioni di superficie, gli elementi in comune, hanno invece a che fare con questioni più di fondo, inerenti alla concezione della democrazia e all’idea stessa dello Stato di diritto. Non solo, ma a differenza dei partiti nazionalisti storici, il Movimento 5 Stelle, non avendo un passato oscuro di cui dover rendere conto, non si è mai, nemmeno parzialmente, posto il problema di costituzionalizzarsi. Per certi aspetti dunque, può essere considerato persino un pericolo democratico maggiore di forze come la Lega, Fratelli d’Italia, e così via. Ovviamente, il contesto europeo attuale, per quanto grave, non è paragonabile a quello degli anni trenta del ventesimo secolo. Poiché, se da un lato vi è, come allora, una proletarizzazione di massa, d’altra parte è anche vero che, il clima da guerra civile di quegli anni, oggi fortunatamente non c’è. Tuttavia, in forme meno intense e più subdole, il rischio di una svolta autoritaria esiste. E chissà che, un domani, non sia proprio il movimento 5 stelle, tanto sottovalutato e considerato innocuo, a farsene interprete.

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