Emanuela Borghi
Il 28 settembre è la data riconosciuta come giornata internazionale per l’aborto sicuro. Il 29 settembre 2017 una donna di origini nigeriane, residente ad Ancona, ha rischiato di morire in seguito ad un tentativo di aborto, che lei stessa si era indotta ingerendo una ventina di pillole di un farmaco antiulcera, in grado di provocare le contrazioni necessarie all’espulsione del feto.
Molti ancora criticano la presenza in piazza delle femministe. Una presenza avvertita troppo spesso come inutile, fastidiosa ed anacronistica, poiché le donne hanno già acquisito tutti i diritti fondamentali. Nel 1978 il diritto ad abortire. Com’è allora possibile che ancora oggi una giovane donna, poco ci importa della sua nazionalità, possa rischiare la vita provocandosi un aborto? Come possiamo chiamare inutili ed anacronistici i tentativi di sensibilizzare all’aborto sicuro?
L’iniziativa legata al 28 settembre parte dalla forte spinta della rete di attiviste femministe “Ni una menos” dell’Argentina, si è poi irradiata a tutto il mondo, compresa l’Italia, con la partecipazione della rete Non una di meno presente in numerose piazze italiane. Nel nostro paese il diritto all’aborto sicuro è stato concesso dalla legge 194 solo formalmente, poiché due grossi ostacoli si frappongono all’attuazione di questo diritto: l’obiezione di coscienza e la mancanza di comunicazione.
Aver conquistato il diritto di abortire in sicurezza in una struttura sanitaria non serve a nulla se questo diritto non viene comunicato. Emerge così la mancanza di una figura che sappia comunicare i diritti acquisiti dalle donne, sanciti dalla legge 194/78. La comunicazione deve diventare sempre più efficace laddove è più complessa, come nel caso delle donne straniere, per evitare la sovrapposizione di due elementi discriminatori: il sesso e la nazionalità.
Il comitato per i diritti umani dell’Onu reputa preoccupante la situazione italiana circa la difficoltà di accesso agli aborti legali, col relativo aumento di quelli clandestini.
Secondo il Ministero della Salute in Italia i ginecologi obiettori sono circa il 70%.
E, nonostante questo preoccupante dato, il ministro della Salute Beatrice Lorenzin afferma che il numero dei medici obiettori risulta congruo all’applicazione della legge 194/78.
Secondo i dati diffusi dal Ministero della Salute nel Comunicato n. 77 del 6 luglio 2016, tutti gli indicatori registrano una diminuzione degli aborti nel nostro paese. Tuttavia il malcontento delle donne, che non si sentivano tutelate nell’esercitare a pieno un loro diritto a causa della massiccia presenza di medici obiettori di coscienza nelle strutture sanitarie, era stato raccolto dalla CGL in un reclamo collettivo presentato il 27 gennaio 2013.
La situazione italiana in materia di aborto rimane quindi caratterizzata da una forte contraddizione, poiché viene descritta dal Ministero della Salute positivamente, come se ogni donna avesse la possibilità di accedere facilmente ad un IVG (Interruzione Volontaria di Gravidanza) legale e sicura, tralasciando i numerosi fatti di cronaca che ancora oggi ci descrivo una realtà fatta di aborti clandestini e di abbandono di neonati.
L’attivismo femminista, conscio di questa profonda contraddizione nella società, assume un ruolo chiave negli aspetti di comunicazione e costruzione di una maggior consapevolezza dei diritti acquisiti dalle donne e per le donne. Quando a tutte le donne sarà data la possibilità di porre come più alto valore quello di sviluppare se stesse, allora la presenza delle femministe sarà da considerare superflua. Non prima.