Del: 2 Ottobre 2017 Di: Barbara Venneri Commenti: 0

Ieri, 1 ottobre, dalle 9 alle 20 i catalani hanno votato il 90% dei voti per l’indipendenza della Catalogna. In alcuni seggi, però, si sono verificati diversi episodi che hanno visto lo scontro della Policia Nacional e Guardia Civil contro gli aventi diritto di voto catalani. I disordini, riporta El País, hanno provocato 761 feriti, tra cui anche 11 agenti delle forze dell’ordine spagnole.

Questo clima di tensione era facilmente prevedibile, se non dichiarato.

Già il 21 settembre, infatti, la Guardia Civil aveva arrestato 14 funzionari catalani e requisito schede e liste elettorali al fine di impedire il referendum, giudicato illegale dal governo di Rajoy. In seguito a questo episodio sono scaturiti scioperi, anche organizzati da universitari, e manifestazioni in diverse città della Catalogna che si sono susseguiti fino al 29 settembre, giorno di conclusione della campagna elettorale.
Nella giornata di ieri, per impedire lo svolgimento delle votazioni, la polizia ha avuto l’ordine di confiscare tutto il materiale elettorale – tra cui le schede riportanti il quesito referendario e le stesse urne – e ha anche ammesso di aver utilizzato proiettili di gomma contro la folla. Per la stessa ragione, vari seggi elettorali sono stati chiusi.

Nonostante questo grave contesto non cambi – o perlomeno non dovrebbe cambiare – le ragioni di un sì piuttosto che un no all’indipendentismo catalano, esso non può essere escluso dalla discussione poiché non è nient’altro che il risultato di una lunga partita a braccio di ferro tra il governo centrale e gli indipendentisti.

Sebbene il primo abbia dalla sua parte l’articolo 2 della Costituzione spagnola che rende di fatto illegittimo il referendum di oggi, la decisione di Rajoy di reagire usando le forze dell’ordine era solo una delle tante sul banco. Si sarebbe potuto scegliere, per esempio, di rendere legale il referendum per permettere ai cittadini di esprimersi. E la legalità del referendum si sarebbe potuta concordare aprendo un dialogo tra le due parti, come è già successo in altre nazioni. Come nel caso, ormai noto, della Gran Bretagna e la Scozia – nonostante la sua storia non sia stata priva di insidie – che avevano indetto una serie di incontri per raggiungere un accordo che avrebbe accontentato entrambi i primi ministri.

La manovra di forza di Rajoy, inoltre, non è condannabile solo perché non conforme ai metodi democratici, ma anche perché risulta poco saggia dal punto di vista politico. Già nel 2014, dopo la consultazione dei catalani sullo stesso tema, l’Economist scriveva che negando ai cittadini di esprimersi, i rapporti si sarebbero inaspriti ulteriormente e avrebbero spinto anche coloro che avrebbero votato per l’integrazione a scegliere per la separazione. In altre parole, i cittadini sarebbero stati più facilmente affascinati da discorsi populisti. Quindi, permettere il referendum accettando qualunque risultato avrebbe lasciato più spazio ai partiti non indipendentisti di portare avanti la propria campagna elettorale e, ancor di più, Rajoy avrebbe potuto inserire le proprie condizioni per limitare i danni in caso di un “sì”.

D’altra parte, i catalani – altrettanto chiusi al dialogo – dovranno fare i conti con la realtà dei fatti.

Se prima il referendum era di dubbia legalità, ora lo è ancora di più, poiché, secondo El Paìs, le “regole del gioco” sono state cambiate a 45 minuti dall’apertura dei seggi. Per far fronte ai molti seggi rimasti chiusi, era stato permesso agli aventi diritto di votare in qualunque collegio disponibile, invece che in quello in precedenza assegnato loro. In seguito a questo cambiamento, era stato sviluppato un sistema informatico con la funzione di verificare che nessuno avesse votato più di una volta, ma era stato bloccato dalla Guardia Civil. Dunque, non è più possibile assicurare l’unicità del voto.
Ancor più allarmante è il fatto che sia stato permesso ai votanti di non utilizzare le buste in cui si sarebbero dovute inserire le schede, le quali potevano essere anche stampate a casa. L’esito del referendum – che si poteva indovinare facilmente – pertanto, legalmente parlando, dovrebbe avere poca validità. Non sarà scontata quindi l’entrata della Catalogna nell’Unione Europea, né tantomeno il suo riconoscimento da parte non solo della Spagna, ma anche del resto dei paesi. In ogni caso, l’avvio verso l’indipendenza è scritto.

Barbara Venneri
Non chiamatemi Vènneri.

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