Del: 2 Novembre 2017 Di: Giulia Bonizzi Commenti: 0

Il 31 ottobre presso il Pirelli Hangar Bicocca si è tenuta l’inaugurazione della mostra temporanea “Take me (I’m yours)”, curata da Hans Ulrich Obrist e Christian Boltansky, che raccoglie i contributi di circa cinquanta artisti di varie nazionalità, generazioni e culture. L’esposizione, presentata per la prima volta nel 1995 alla Serpentine Gallery di Londra e poi riprodotta a partire dal 2015 a Parigi, Copenaghen, New York e Buenos Aires, ha come obiettivo quello di stravolgere completamente l’approccio all’arte: al visitatore infatti sarà permesso di fare tutto ciò che di norma è vietato in un museo.

Le regole sono semplici: quattro simboli posti affianco delle opere indicano la modalità di interazione con esse: lasciare propri oggetti per scambiarli con altri, modificare gli spazi e le installazioni, usare ciò che è messo a disposizione per “reinventare” oppure portare a casa l’opera. Grazie ad un piccolo contributo, sarà infatti possibile acquistare la borsa “Dispersion”, riproduzione dell’originale disegnata in occasione della prima mostra da Boltansky, diventando per la prima volta “collezionista d’arte” e contribuendo allo svuotamento fisico dello spazio.

«Il fatto che l’arte non si tocchi, che ci si accontenti di guardarla è una convenzione che evidentemente si associa al concetto stesso di mostra; come idea che l’opera sia dotata di una sua irriducibile individualità spazio-temporale a cui si oppone l’invenzione di un’installazione disperdibile» ha dichiarato Patrice Maniglier in un dibattito riguardante la bizzarra esposizione. La chiave del successo della mostra forse sta proprio nella rottura di questi “tabù” che permettono all’arte di raggiungere anche chi, negli spazi silenziosi e rigorosi delle gallerie non si è mai sentito a suo agio.

Visitando “Take me” ci si ritroverà infatti completamente liberi di agire davanti alle istallazioni che, ad ogni nuova visita, risulteranno sempre più dissolte e in continua metamorfosi.

Mentre all’ingresso dell’Hangar sarà possibile appendere i propri desideri sugli alberi di limoni di Yoko Ono, nello spazio espositivo si potrà collezionare la serie di spille provocanti riproducenti i banners di Gilbert e George, oppure rovistare nella Quai della Gare di Boltanski, un’enorme pila di vestiti di seconda mano posti al centro della sala che il pubblico è libero di prendere e portare via. Numerose sono anche le performance, come quella di Pierre Huyghe (The annuncer) o di James Lee Byars (Be Quiet), che dimostrano come l’arte sia soprattutto un’esperienza sensoriale, emotiva, non per forza legata qualcosa di tangibile e materiale.

Dal 1995 ad oggi la mostra ha visto varie collaborazioni e vari tentativi di miglioramento, ma i valori che Boltansky e H.Ulrich avevano posto alla base delle prime edizioni non sono affatto mutati, piuttosto rivisti in chiave moderna. La condivisione, non solo di oggetti ma anche di contenuti (ora resa possibile anche grazie all’uso massiccio dei social media), l’idea di dono e di valore dell’opera d’arte rappresentano infatti il filo conduttore che lega tra loro le opere, a prima vista così eterogenee tra loro.

La mostra chiuderà i battenti il 14 gennaio 2018 è sarà visibile ad accesso libero durante la settimana e su prenotazione nel weekend, compatibilmente agli orari di apertura dello spazio espositivo dell’Hangar. Gli orari e le giornate dedicate alle performance invece solo consultabili sul sito www.hangarbicocca.org.

Giulia Bonizzi
Studentessa di logopedia che si diverte con le parole, soprattutto quelle che nessuno vuol dire . Perdo treni come forcine per capelli.

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