Emanuela N. Borghi
«Persino Platone bandì i suoi poeti dalla repubblica.»
Questa frase, scritta da Robespierre, segnerà il destino del protagonista dell’opera di Umberto Giordano, ispirata alla storia del poeta francese Andrea Chénier, giustiziato durante l’epoca del Terrore a causa di crimini compiuti contro lo stato. Diversi sono gli elementi che collocano l’Andrea Chénier all’interno di quel filone verista, che vuole rinnovare l’ormai esausto melodramma romantico, non più adatto all’estetica musicale che si stava diffondendo fra la fine del diciannovesimo secolo e l’inizio del Novecento. L’Andrea Chénier viene messo in scena al Teatro alla Scala il 28 marzo 1896, il successo è tale da trovare in Mascagni e in Mahler due grandi sostenitori.
Ancora oggi l’opera è annoverata fra i più grandi capolavori del melodramma italiano, non a caso è stata scelta quest’anno per celebrare il 7 dicembre l’apertura della stagione lirica del Teatro alla Scala di Milano.
Il ritmo dell’opera si allontana da quella staticità che caratterizzava il melodramma romantico nei passaggi dedicati ai lunghi e vocalmente complessi numeri chiusi. Il ritmo si fa serrato, quasi cinematografico, con una sovrapposizione di azioni all’interno dello stesso quadro. La musica sostiene l’azione incalzante, che muta rapidamente attraverso i quattro quadri nei quali è divisa l’opera. Umberto Giordano ha la capacità di rievocare un ambiente, connotato storicamente e politicamente, attraverso la musica: i protagonisti, Andrea Chénier e Maddalena, passano dalla spensieratezza del primo quadro, ambientato nel castello di Choigny durante una festa accompagnata dal suono di un clavicembalo, dalle gavotte e dalle danze che ricreano uno stile arcadico tipico dell’aristocrazia francese, alle atmosfere cupe e struggenti della prigione.
Questa rivoluzione dello stile compositivo del melodramma non investe solo il ritmo ma anche una particolare ricerca della verità, del dato storico e delle fonti, condotta dal compositore e dal librettista Luigi Illica, inserendosi pienamente all’interno del filone verista della Giovine Scuola, composta anche da Mascagni, Cilea, Leocavallo e da un ancora acerbo Puccini, prima che elaborasse un suo stile unico e personale. I monologhi riflessivi e caratterizzati da una vocalità che si fa più lirica e cantabile sono affidati principalmente ai due protagonisti e si contrappongono allo stile dialogico e concitato dei personaggi secondari. La vocalità, uno degli aspetti fondamentali del rinnovamento verista, si libera dalle colorature e dagli abbellimenti virtuosistici che avevano ornato i cantabili e le cabalette dei grandi eroi ed eroine romantiche. Il compositore non rinuncia ai momenti di coinvolgimento emotivo, come nella struggente Mamma morta cantata da Maddalena, dopo aver perso la madre e tutto ciò che possedeva a causa dello scoppio della rivoluzione francese.
All’interno del primo quadro vengono presentati i tre personaggi attorno ai quali ruota l’intera opera, che si apre con il servitore Gérard, innamorato di Maddalena, giovane figlia dell’aristocratica proprietaria del castello all’interno del quale viene data una sfarzosa festa. Fra gli invitati è presente il poeta Andrea Chénier, che intona un lungo monologo riflessivo e ricco di elementi lirici in grado di comunicare la poetica non solo delle sue opere ma anche della sua intera vita: la dedizione all’amore. All’interno delle strofe di Un dì all’azzurro è posto l’unico tema ricorrente, che va a punteggiare l’intera opere, definito come il tema di Maddalena o dell’amore. Posto sul verso “Ecco la bellezza della vita” il tema è composto da scale discendenti ed ascendenti nel registro medio-alto e denota quell’influenza wagneriana che ha investito i compositori della fine del diciannovesimo secolo.
L’opera inizia nel bel mezzo della preparazione di una festa, ma passa attraverso il tribunale e le prigioni dell’epoca del Terrore.
Il servo indaffarato si trasforma in uno dei più attivi rivoluzionari di Parigi e sarà lui stesso la causa del tragico epilogo, giurando il falso e facendo condannare a morte Chénier, solo a causa della sua morbosa gelosia. Egli non riesce infatti ad accettare che la sua amata Maddalena non lo ricambi e che si sia rivolta al poeta, chiedendo a lui amore e protezione.
Nell’ultimo quadro la componente tragica ed emotiva investe i tre personaggi principali, mentre la rivoluzione investe Parigi. Umberto Giordano crea una sorta di sovrapposizione e compenetrazione delle azioni non solo visivamente, ma anche musicalmente: mentre il poeta scrive i suoi ultimi versi all’amata, dopo la condanna a morte, e li intona, i rivoluzionari che si accalcano attorno al patibolo cantano la Marseillaise. Gérard si pente di aver consegnato ai rivoluzionari Andrea Chénier, ma ormai non gli resta che stringere fra le mani un biglietto nel quale Robespierre aveva scritto: “Perfino Platone bandì i suoi poeti dalla repubblica.” Guarda i due amanti che si avvicinano al patibolo, andando insieme verso la morte, ultimo nobile gesto che li unirà in eterno.