Il 30 ottobre scorso è uscito su Il Giorno un pezzo riguardante la nostra università e, più precisamente, la serata Trashunimi – Festa senza Perdono, tenutasi tre giorni prima. In sintesi, i ragazzi del collettivo Dillinger (che ha organizzato la festa) avevano chiesto un locale dell’università a tal scopo ma, vedendoselo negare dal Rettore, hanno occupato. La festa si è fatta, con qualche aula aperta e qualche piccolo danno qua e là. La cosa non è piaciuta a tutti, in particolare a Unilab che a mezzo stampa ha condannato l’atto, aggiungendo che queste feste, generalmente tre all’anno, sono “una continua umiliazione dell’istituzione a vantaggio di persone che, travestite da organizzatori di eventi socioculturali, non fanno che privatizzare gli utili e collettivizzare parte dei costi. Mentre le associazioni universitarie spesso si confrontano con impiegati puntigliosi che rendono l’organizzazione di un evento con invitati di spicco impresa epica. Il messaggio è allarmante: chi rispetta le regole viene penalizzato, i furbi regnano e incassano”.
Incuriosita dal dibattito, ma soprattutto dall’ultima frase sul rispetto delle regole e la vittoria dei furbi, ho deciso di sentire un amico che studia a Napoli, città dove questo principio è una legge non scritta. Forse il confronto con un’altra realtà potrebbe dare nuovi spunti al dibattito che, sarebbe bello, non approdasse a soluzioni drastiche in un senso o in un altro.
La prima cosa da dire su Napoli è che i centri sociali sono parecchi, molto attivi e alcuni godono di fama ben oltre i confini della città. Pensate allo spazio Insurgencia, l’Ex OPG Occupato- Je so pazzo, l’Officina 99. «Si tratta di un insieme di comunità non sempre omogeneo, alcune manifestano tendenze anarcoidi, altre si rifanno all’ideologia marxista-leninista, altre ancora presentano spiccate tendenze autonomiste quando non separatiste. Il centro sociale Zero81 ha come emblema il territorio dell’ex Regno delle Due Sicilie, affiancato da una stella rossa e capita non di rado di individuare, tra i vessilli presenti alle manifestazioni, bandiere borboniche», mi racconta il mio amico che chiamerò, per rispetto all’anonimato, Pietro.
«Per il cittadino comune, estraneo alle dinamiche dialettiche dei centri sociali e dei collettivi autonomi, gli stessi sono in realtà difficilmente distinguibili gli uni dagli altri, perché sul piano pratico condividono tutti le stesse istanze: riqualificazione del territorio, disobbedienza civile, diritti sociali (casa e lavoro su tutti), lotta al razzismo e al fascismo, lotta al capitalismo e al neoliberismo, iniziative a favore dell’immigrazione e dell’integrazione, iniziative in favore dei ceti sociali più deboli, come attività ludiche e di doposcuola per i bambini più disagiati, e ultimamente tendenza a costituirsi in comitati di cittadinanza di rilevanza istituzionale titolari di un rapporto diretto con le stesse autorità cittadine e comunali». Con De Magistris sindaco, quest’ultima istanza è diventata più di una semplice aspirazione e i rapporti fra il sindaco, la giunta e i centri sociali sono divenuti sempre più intensi.
Ad esempio, nella lista del sindaco, si è candidata ed è stata eletta al consiglio comunale Eleonora De Majo, esponente di spicco del centro Insurgencia, la quale si è resa protagonista, dopo le elezioni, di scontri con le forze di polizia, in particolare in occasione di una visita a Napoli dell’ex premier Matteo Renzi. Grazie a questo rapporto con l’amministrazione comunale, a Napoli i centri sociali sono divenuti una realtà protagonista della vita politica napoletana a tutti gli effetti, le cui richieste, proteste e istanze sono divenute idonee a produrre effetti di immediato rilievo nell’amministrazione della città.
Tutto ciò, fatta esclusione per la violenza che spesso sopraggiunge in sede di protesta, non appare negativo.
Sapere che realtà di questo genere riescono ad avere più voce e possono entrare anche nelle stanze di comando, portando le istanze di chi le vive, di per sé è una cosa molto positiva, visto il crescente consenso riscosso da forze politiche populiste di destra contro l’accoglienza, contro i migranti.
Napoli, va detto, è un fiore all’occhiello in questo senso: sono infatti estremamente positivi i risultati conseguiti dai collettivi e dai centri sociali in materia di accoglienza. Diversamente rispetto a quanto accade in gran parte del resto d’Italia, a Napoli è difficile trovare notizie di cronaca nera relative ad episodi di razzismo e di intolleranza ad opera della cittadinanza nei confronti dei migranti appartenenti ad altre etnie. «Ciò si deve soprattutto al grande lavoro dei collettivi e dei centri sociali — continua la mia conoscenza — che accolgono i migranti nei locali occupati, reperiscono abitazioni e beni di prima necessità, insegnano loro la lingua italiana e spesso quella napoletana, organizzano iniziative in favore dell’accoglienza, mobilitano la cittadinanza affinché aderisca alle iniziative medesime.»
Dentro i migranti e fuori Salvini. Sì perché fu proprio a Napoli, lo scorso marzo, che Salvini venne duramente contestato durante una sua visita. Su questo punto Pietro è più severo: con la benedizione del sindaco, hanno prima occupato la sala della Mostra d’Oltremare dove la prefettura aveva stabilito si dovesse svolgere il comizio del leader leghista, provocando la cancellazione dell’evento. In seguito, quando l’evento è stato confermato, hanno tentato di assaltare la Mostra, scontrandosi con la polizia, vandalizzando e mettendo a ferro e fuoco il quartiere Fuorigrotta. Lasciamo ai lettori la riflessione su quanto questo sia giusto e quanto sia limitazione della libertà di parola. Personalmente, pur credendo che tutti debbano avere diritto di dire la propria, non riesco a non pensare che la città di Napoli non si sia persa molto, non potendo assistere all’evento Salvini. I napoletani poi, è giusto dirlo per meglio comprendere e non dimenticare che dietro alle azioni ci sono delle persone, non sono mai stati troppo per le mezze misure. Durante il periodo buio dell’Inquisizione (che lasciava poco spazio alla libertà d’opinione) nel 1547, il popolo napoletano non ci pensò troppo alla notizia delle prime tre condanne a morte per eresia in città, ad assaltare l’allora sede dell’Inquisizione, cacciandola dalla città.
Il discorso è sempre lo stesso: è giusto impedire di parlare ad un generatore automatico di frasi che fomentano l’odio come Salvini o tanto vale lasciarlo intervenire e qualificarsi da sé?
Forse Voltaire propenderebbe per la seconda, ma non dilunghiamoci e torniamo al rapporto di collettivi e centri sociali con università (e di riflesso dei licei) e forze dell’ordine. «Del progressivo rafforzamento dei centri sociali hanno beneficiato senza dubbio i collettivi studenteschi. I rappresentanti di spicco dei collettivi sono spesso importanti esponenti dei centri sociali; in altre occasioni, dipendono praticamente da essi.» Nulla di nuovo, è raro che ci sia una separazione netta tra le due realtà. Basti pensare al rapporto tra il Collettivo Lambretta e il centro sociale Zam di Milano. «La commistione arriva al punto — continua Pietro — che le stesse assemblee dei collettivi si svolgono, in alcuni casi, come quello del liceo Genovesi in Piazza del Gesù, direttamente all’interno dei centri sociali, nel caso specifico allo Zero81. Ogni scuola, ogni aula o locale occupato dai rappresentanti dei collettivi, viene immediatamente invaso da esponenti dei centri sociali, che provvedono, assieme agli studenti, alla pulizia, alla riorganizzazione, alla messa a nuovo e allo sfruttamento dei locali sotto il loro controllo. Il caso più recente è quello del Lab Nassau di via Mezzocannone, nato dall’occupazione non concordata di alcuni locali dell’Università Federico II, per la riqualificazione dei quali erano stati predisposti ingenti fonti da parte dell’UE, fondi che di conseguenza andranno perduti.»
E per quanto riguarda le feste? «Le feste universitarie organizzate all’interno dei locali stabilmente occupati dell’università sono frequenti, e non prive di aneddoti non del tutto edificanti: ad esempio, nella notte fra il tredici e il quattordici maggio scorso, alcuni carabinieri, giunti in via Mezzocannone (dove la Federico II ha una delle sue sedi, ndr) a seguito di una segnalazione per schiamazzi notturni, sono stati accolti a bottigliate dalle finestre delle aule occupate, nelle quali si stava svolgendo un festino. La vicenda ha fatto molto scalpore nell’opinione pubblica napoletana, che ha ravvisato come, in alcune zone della città, a causa dell’ostilità manifesta e talvolta violenta degli esponenti dei centri sociali e dei collettivi studenteschi, la forza pubblica sia ostacolata nella sua opera di tutela dei diritti dei cittadini. È sufficiente la semplice presenza di pattuglie di polizia e di carabinieri nella zona della movida napoletana per sentir parlare di “città militarizzata” nei comunicati dei centri sociali. Naturalmente, in una città in cui lo stesso sindaco non fa mistero di essere schierato “al fianco dei centri sociali”, ciò non può che provocare un ritiro delle forze dell’ordine dai luoghi più caldi e affollati del week-end. Circostanza, quest’ultima, assai grave, che ha impedito il legittimo intervento della forza pubblica in situazioni purtroppo a volte con esiti tragici.»
Da questo racconto appare evidente che l’occasionale mancanza di libertà di girare tranquillo per alcune zone della propria città spinge giovani non certo simpatizzanti per la destra, a non vedere di buon occhio i centri sociali che potrebbero gestire determinate situazioni, esattamente come gestiscono l’accoglienza ai migranti. Il ragazzo che si getta dall’obelisco oppure le bottigliate che ci si può prendere nel momento sbagliato a piazza Bellini non hanno colore politico, connotazione geografica e non c’entrano i centri sociali. Sono casualità, potrebbero accadere dovunque. Certo è che in una città come Napoli e specialmente in rioni come Forcella o Sanità, dove non di rado accade che innocenti muoiano o restino feriti perché trovatisi in mezzo a regolamenti di conti, la presenza delle forze dell’ordine è necessaria per la sicurezza dei cittadini. Non si tratta di militarizzare la città, cosa verso cui chi scrive è fortemente contraria, ma di capire una situazione delicata e fare ciò che è possibile per limitare i danni. Con la consapevolezza che bisogna lottare per estirpare quel cancro che è la camorra, che infetta mentalità e vita pratica di una città. Mi domando se effettivamente in questo coro di solidarietà nei confronti della libertà e condanna senza appello delle forze dell’ordine, non ci sia anche qualche voce malamente interessata. Arriviamo così ad punto nodale della vicenda e parliamo, in chiusura, del poco affrontato tema dell’infiltrazione camorristica nei centri sociali.
«Questo è un capitolo decisamente oscuro di tutta la faccenda. Benché non manchino formali prese di posizione contro la camorra, manifestate prevalentemente attraverso cortei e proteste di piazza, il tasso di infiltrazione è visibilmente elevato. È difficile ipotizzare che vi siano dei veri e propri rapporti tra i vertici della criminalità organizzata e quelli dei centri sociali, ma è facile trovarsi ad avere a che fare con spacciatori ed esponenti della microcriminalità, benvenuti e affezionati frequentatori di alcuni centri sociali, che controllano il territorio in relazione allo spaccio e al consumo di droga. Le ipotesi che si possono avanzare vanno da un’infiltrazione minima tollerata per quieto vivere ad una reale e cosciente convivenza pacifica. Purtroppo questo dato è difficilmente dimostrabile, perché ad oggi nessun giornalista d’inchiesta si è premurato di venire a capo della vicenda, né risultano provvedimenti giudiziari in merito. Tuttavia Stefano Folli, firma di Repubblica, in un editoriale dell’anno scorso parla di «centri sociali che non sappiamo quanto infiltrati dalla camorra ». Un dato veramente preoccupante è quello relativo alle occupazioni di licei e scuole: poiché gli organizzatori stessi delle occupazioni sono esponenti di spicco delle nuove leve dei centri sociali, accade praticamente sempre che le scuole occupate aprano le porte ai leader degli stessi, e con essi ai rappresentanti della criminalità organizzata, che di conseguenza può gestire il traffico di droga negli istituti. Ho avuto esperienze personali che mi permettono di non dubitare dei rapporti tra camorra e centri sociali, anche se mi è impossibile fornire una documentazione in merito. Ho appreso, parlando del fenomeno con ragazzi più addentro queste vicende (ma anche questo dato non è possibile documentarlo) che la presenza di camorristi all’interno dei centri viene giustificato con l’argomento che questi ultimi sarebbero in fin dei conti vittima dello Stato e della società neoliberista che li emargina e li costringe, di fatto, a intraprendere il percorso della criminalità organizzata.»
Questa senza dubbio è la cosa che fa più rabbia.
Pensiamoci: delle istanze sacrosante come quelle dell’antifascismo, della riqualificazioni di spazi dati in gestione a cittadini che ne fanno un uso utile per vita culturale della città, l’accoglienza e la messa in atto di una convivenza fondata su basi solide con chi arriva nel nostro paese, tutto questo, infangato (in parte) proprio da chi non combatte queste battaglie, ma anzi beneficia del caos per continuare i propri affari. La camorra a Napoli si occupa principalmente di gestire il traffico di droga: il pizzo è un’usanza demodé. Come tranciare alla radice questa connivenza? Esiste un solo modo: legalizzare le droghe, togliendo così il monopolio alla malivita. Battaglia, quella della legalizzazione, portata avanti da centri sociali e collettivi (in tutta Italia, non solo a Napoli) a dimostrazione ancora una volta che non è mai possibile incasellare un gruppo nella sua interezza, essendo i gruppi formati da persone.
Pietro mi racconta un’ultima cosa, la nascita del movimento Napoli Direzione Opposta. «Un fatto nuovo e interessante è che a inizio ottobre i rappresentanti di molti centri sociali hanno deciso di federarsi per costituire un nuovo soggetto politico indipendente denominato “Napoli Direzione Opposta”. Naturalmente non vogliono essere chiamati “partito”, perché si considerano una cosa diversa dalle altre formazioni politiche, ma al di là delle questioni di nomenclatura, questo significa che i loro voti e quelli che gestiscono con confluiranno più nel bacino elettorale di De Magistris, il quale comunque non dovrebbe ricandidarsi per un terzo mandato, vuoi perché nutre neanche tanto velatamente ambizioni politiche a livello nazionale, vuoi perché dopo sei anni di gestione del Comune l’ente è a serio rischio dissesto a detta della Corte dei Conti , fermo restando che il sindaco tende a minimizzare la vicenda . La nascita di Napoli Direzione Opposta segna comunque una svolta, perché fino a questo momento i centri sociali e i collettivi non avevano mai sentito il bisogno di costituirsi in forza politica autonoma, avendo condiviso in linea di massima la gestione cittadina di De Magistris e avendo sempre goduto di una corsia preferenziale rispetto ai comuni cittadini nei rapporti con le istituzioni cittadine. Probabile che la spaccatura risalga al mese di luglio, quando il sindaco ha definito “inaccettabile” l’occupazione di alcuni uffici comunali ad opera dei comitati per la casa, naturalmente legati a filo doppio ai centri sociali e ai collettivi studenteschi.»
Dopo aver illustrato la situazione della città di Napoli in maniera il più possibile obiettiva, si potrebbe fare un’ultima riflessione. Così come ci sono mille sfumature, convenienze politiche, luci e ombre nella dinamica napoletana, così nel dibattito milanese non è consigliabile polarizzare la discussione su due estremi (“le feste e le occupazioni sono da abolire” oppure “bisogna mettere a ferro e fuoco l’università”) escludendo proprio tutte le sfumature, certamente presenti anche qui. Entrambe queste istanze estremiste possono fomentare, creare consenso e portare voti in sede di elezioni studentesche, ma banalizzano e semplificano il dibattito, senza la volontà di comprendere e migliorare la vita universitaria e sociale giovanile della nostra città.