Del: 14 Dicembre 2017 Di: Sheila Khan Commenti: 0

Luminarie accese, mercatini dappertutto e nevrosi da regalo: il Natale sta arrivando. Ha deciso, irriverente, di non rispettare più l’8 dicembre per iniziare a manifestarsi in tutte le sue forme materiali, anzi anno dopo anno viene ansiosamente anticipato sempre di più, tanto che le lucine a forma di pacco regalo e abeti sono comparse già a partire da metà dello scorso novembre.

Supermercati e negozi rassicurano il consumatore con un’insegna che a caratteri cubitali recita: aperti anche il 24, il 25 e il 31 dicembre.

Insomma, se non farai in tempo a prendere i regali o ti accorgerai di esserti dimenticato di qualcosa all’ultimo minuto, non temere: da qualche parte troverai un centro commerciale aperto e al tuo servizio, dove potrai soddisfare l’esigenza dell’ultimo minuto.

Ma a che prezzo? Se da una parte viene esaudito il desiderio del consumatore abituato ad ottenere tutto e subito, dall’altra una schiera di commessi e cassieri è costretta a lavorare. Questa logica del restare necessariamente sempre aperti, in qualsiasi giorno, a qualunque ora, è stata assimilata soprattutto dai centri commerciali, aperti tutto il giorno e tutti i giorni dell’anno (inclusi festivi e domeniche). In generale, sembra che le persone non abbiano più tempo di fare acquisti nei giorni lavorativi, acquisti che vanno dai più basilari (quelli per soddisfare bisogni fisiologici per intenderci, come il cibo) ai più futili (non necessari per la sopravvivenza). Come ci si barcamenava prima, quando i supermercati erano chiusi di  domenica? Ci si chiede. Quando si compravano i regali di Natale?

In questi tempi di lavoro senza turni fissi, a chiamata, con reperibilità 24/7 e orari sregolati, pensiamo che in fondo tutto questo ci sia dovuto, che sia un diritto o una agevolazione indispensabile il poter fare acquisti in qualsiasi momento quando il lavoro ce lo concede.

Non pensiamo mai, però, che le persone che ci permettono il privilegio di questa condizione (commessi e cassieri) subiscono l’assenza di questa condizione e sono quindi impossibilitati a usufruire dello stesso diritto all’acquisto sfrenato e incessante.

Durante le feste, natalizie in particolare, si respira una ben nota e totale ansia consumistica: si deve comprare tutto e subito, fare regali a ogni costo, anche a chi non si conosce abbastanza e di cui ignoriamo i gusti; piuttosto un profumo a caso, candele colorate, maglioni brutti, tazze. L’importante è non presentarsi a mani vuote, non fare la figura del tirchio, spendere ed esibire il proprio potere d’acquisto.

Ogni lavoratore, però, dovrebbe avere il diritto di poter passare le feste a casa, con la propria famiglia. Non si tratta tanto della possibilità negata di “santificare le feste”, da buon cristiano; si  può anche non credere nella santità del Natale. L’aspetto davvero ingiusto è che per ogni persona che in quei giorni può “oggettificare le feste”, ce n’è una che non può farlo.

Non si tratta, quindi, di riappropriarsi del significato religioso del Natale, ma del valore etico del lavoro.

Qualcosa sembra muoversi: i dipendenti del centro commerciale di Orio al Serio hanno chiesto al consiglio di amministrazione di rivedere i giorni di apertura del centro commerciale nel periodo natalizio, sostenuti dalla CGIL. Il riposo è un diritto di tutti, dicono. Ricordiamocelo.

Sheila Khan

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