Antonino Treppiedi
È uscito nelle sale italiane il 14 febbraio La forma dell’acqua, il nuovo film di Guillermo del Toro, noto regista messicano. Il film ha già ricevuto il plauso della critica, con ben 13 nomination all’Oscar, e nei mesi precedenti il Leone d’Oro alla 74esima Mostra del Cinema di Venezia.
La trama risulta di per sé abbastanza inusuale: ci troviamo a Baltimora nel 1962, in piena guerra fredda. Elisa Esposito (Sally Hawkins), orfana e affetta da mutismo, lavora come addetta alle pulizie in un laboratorio governativo, dove vengono effettuati esperimenti per contrastare l’Unione Sovietica. Come unici amici ha la collega di lavoro afroamericana Zelda (Octavia Spencer) e il coinquilino gay Giles (Richard Jenkins), con il quale vive in una condizione di solitudine ed emarginazione.
Nel laboratorio si trova una creatura anfibia dall’aspetto umanoide: è stata catturata in Amazzonia, dove gli indigeni locali la veneravano come un dio. Elisa rimane molto affascinata dalla creatura e comincia ad andare a trovarla, portandole del cibo e insegnandole a comunicare tramite il linguaggio dei segni, il tutto all’insaputa del violento, razzista e bigotto colonnello Strickland (Michael Shannon).
Elisa si innamorerà della creatura mostruosa e, quando i vertici decideranno di ucciderla e vivisezionarla, la porterà a casa sua con l’ausilio dei due amici e del Dottor Hoffstelter (Michael Stuhlbarg), una spia russa infiltrata tra gli americani, anch’egli affezionatosi e affascinato dalla creatura. Il loro rapporto diventerà sempre più intimo e il mostro ricambierà presto l’amore di Elsa. Alla fine il colonnello Strickland, minacciato di morte dai suoi superiori, si avventurerà in una sfrenata caccia al mostro.
Questo è un film il cui significato, profondo e per nulla banale, rimane latente per tutto il tempo e viene recepito solo dopo un’accurata riflessione.
Intanto, l’ambientazione è piena di contraddizioni: l’America dei primi anni ‘60, in piena prosperità economica, dedita al benessere e al consumismo, caratterizzata dal progresso scientifico ma anche lacerata sia da conflitti esterni, tra cui la Guerra Fredda, che è lo sfondo storico principale del film, e la guerra del Vietnam, sia da vari conflitti interni, tra cui la discriminazione razziale a danno degli afroamericani, situazione che nel film è esemplificata dalla condizione di Zelda, collega di Elisa.
Nei colloqui che avvengono tra le due inservienti e il colonnello, quest’ultimo si lascia andare non poche volte a commenti razzisti, come per esempio: «Dio ha forma umana, come me e come lei, anche se penso sia più come me che come lei», riferendosi a Zelda.
Il colonnello vive una vita apparentemente serena e di successo: ha una bella moglie, una bella casa, due bei figli, un lavoro di alto rango, una meravigliosa Cadillac, eppure è un uomo gretto, violento, nervoso e scontroso, senza un briciolo di umanità e compassione per gli altri.
Al contrario, quelli che si prodigano per liberare la mostruosa creatura dalle grinfie del colonnello sono individui non solo semplici e di poco conto, ma anche emarginati, ciascuno segnato da un proprio marchio di diversità: Elisa è orfana e muta, due caratteristiche che chiunque guarderebbe con pena e forse anche disprezzo, Zelda è una donna di colore, e come si è già detto, in quegli anni (e in parte ancora oggi) costituiva un grave impedimento per la libertà e la dignità dell’individuo, e infine Gilles è omosessuale con problemi lavorativi e relazionali.
Ecco quindi il punto centrale del film: il rovesciamento dei ruoli. Il vero mostro non è la creatura ibrida uomo-anfibio, che all’apparenza creerebbe orrore a chiunque, ma il colonnello Strickland, il borghese frustrato. Paradossalmente, il mostro alla fine si rivela un essere capace di provare sentimenti ed empatia, mentre il colonnello rivela il suo animo più crudo e malvagio. Difatti, mentre la creatura vede Elisa nella sua essenza al di là delle sue imperfezioni, il colonnello vive di pregiudizi e sguardi sprezzanti, che fanno di lui appunto un essere mostruoso.
Guillermo Del Toro crea una fiaba dark, intrisa di sovrannaturalismo e fantascienza, che però dominano solo in apparenza, poiché si intersecano in maniera eccellente con la storia d’amore tra la creatura ed Elisa, la quale non avendo nulla di fantascientifico incarna l’aspetto più umano e genuino della pellicola. Un film dove nulla è lasciato al caso, tutto è curato nel dettaglio, dallo squallido appartamento di periferia di Elisa alle masturbazioni nella sua vasca da bagno, dalla casa luminosa e accogliente del colonnello al freddo e grigio laboratorio dove lavora: ogni singolo fotogramma è un bellissimo tassello, indispensabile per il grande puzzle che è quest’opera.
In una cornice narrativa dove spadroneggiano le divisioni e le discriminazioni, Del Toro crea una storia in cui l’amore risulta in grado di frantumare ogni divisione e barriera che l’uomo, nella sua mente, può inventare.