Il 14 febbraio scorso in Marocco è stata approvata una legge contro la violenza sulle donne. La notizia ha subito fatto il giro del mondo ed è stata definita rivoluzionaria, in un paese in cui, nonostante le numerose aperture, le violenze contro il genere femminile sono all’ordine del giorno. Il testo, approvato con 168 voti a favore e 55 contro dal Parlamento del Regno, era già stato proposto nel 2013 e, dopo un iter burocratico quinquennale, è stato finalmente approvato. La ministra marocchina della Famiglia, delle Donne e della Solidarietà, Bassima Hakkaoui, si è subito detta molto sollevata dal fatto, commentando l’accaduto sulla sua pagina Facebook con un sollevato “Grâce à Dieu!”.
Il testo “estende il concetto di violenza agli atti di aggressione, alle molestie anche via sms, messaggi vocali o foto, allo sfruttamento sessuale, all’aggressione sul posto di lavoro e agli abusi e inasprisce le punizioni in casi di situazioni aggravanti quali la gravidanza o nel caso che la violenza sia perpetrata da persone conosciute, come per esempio un collega di lavoro”. Un grande passo avanti, si potrebbe dire, visto anche l’irrigidimento nei confronti di matrimoni forzati nei confronti di una minorenne.
In realtà, però, la situazione è ben lontana dalla reale parità di genere che ci si aspetterebbe.
Le femministe – e non solo – non hanno tardato a scagliarsi duramente contro i sostenitori della legge, valida soltanto per le donne nubili.
Che la portata del testo sia rivoluzionaria è indubbio. Il problema è che le violenze sessuali perpetrate ai danni di donne sposate non sono ancora riconosciute come tali.
Nouzha Skalli, militante per la parità dei sessi, si è duramente opposta al modus operandi marocchino: “la violenza sessuale nell’ambito del matrimonio non è punita. Alla fine si è deciso solamente di modificare alcuni articoli del codice penale, che però resta nel complesso basato su una concezione obsoleta”.
Il problema denunciato è di tipo culturale.
Secondo i dati, il 40% delle donne fra i 18 e i 64 anni che abita in contesti urbani dichiara di essere stata vittima di molestie e/o violenze. Una legge come quella approvata è certo un passo avanti, ma non basta. I media e le ONG continuano da anni a denunciare le continue violenze ai danni delle donne, come il caso scoppiato nell’agosto 2017, in cui era stato ripreso uno stupro di gruppo su un autobus a Casablanca.
Ma non è solo la legge “a metà” in sé a scandalizzare, quanto la portata delle pene: fino a un anno di reclusione per matrimonio coatto, fino a sei mesi per molestie solo scritte, telefoniche o per via elettronica. L’articolo 486 del codice penale marocchino continua ad essere ambiguo e le donne sposate a non avere sicurezze.
La pressione delle forze politiche islamiste e delle autorità religiose, alla fine, ha prevalso.