Fun fact: Secondo la nostra costituzione, se Gentiloni si barricasse all’interno di Palazzo Chigi, distruggendo la campanella e smettendo di rispondere al telefono, non potrebbe mai più essere rimosso dalla carica di primo ministro, nemmeno a seguito di decesso.
— Alessandro Masala (@ShooterHatesYou) March 6, 2018
Il pensiero espresso in questo tweet di Alessandro Masala, figlio di un’idea ironica, potrebbe non essere la più paradossale delle vie d’uscita al risultato del 4 marzo. Un ballo delle incertezze con protagonisti due vincitori, Salvini e Di Maio, che rivendicano la primogenitura per un nuovo governo. Il problema però è di natura matematica: entrambi hanno ottime ragioni per chiedere l’incarico, forti di un sostegno popolare senza precedenti per le rispettive aree politiche, ma non hanno numeri a sufficienza per incassare la fiducia. Ai leader di Lega e M5S mancano rispettivamente 71 e 133 parlamentari per ottenere delle maggioranze minime. In questo scenario da duello western si inserisce un terzo incomodo, il PD. Il grande sconfitto di queste elezioni ritorna inaspettatamente al centro della scena. Ironia della sorte, si è detto in questi anni che il partito di Renzi fosse diventato una nuova DC, un partito di governo a trazione centrista e mediatrice: ecco, ora il PD sembra ricoprire il ruolo che fu del PSI. Una stretta cruna d’ago da cui pare necessario passare per formare un nuovo esecutivo.
Questo inedito triello alla messicana sta facendo discutere tutti, addetti ai lavori e non.
Luigi Di Maio è stato il primo, su Repubblica, a fare un appello “alla nazione” invocando “la responsabilità” degli eletti a sostenere un suo governo. Un governo, beninteso, monocolore grillino con lista di ministri già preparata e spedita a Mattarella. A sinistra, dove basta molto meno per andare in paranoia, si sono già aperte diatribe in merito: Renzi, nel suo discorso da dimissionario, ha negato qualsiasi futuro appoggio e a lui si sono uniti quasi tutti i massimi dirigenti del partito, eccezion fatta per Emiliano e Chiamparino. Da fuori sono in molti a invocare un’intesa con Di Maio, non da ultimo Pif, che in un video ha chiesto di “mettere da parte l’orgoglio”. Al netto di tutte le incertezze, due cose restano. La prima è che la vicenda verrà strumentalizzata: nel PD per farsi largo alle primarie e fuori per indicare un capro espiatorio. La seconda è che probabilmente il nome del nuovo premier uscirà solo dopo l’elezione dei presidenti di Camera e Senato, primi oggetti di mediazione parlamentare. La sfinge Mattarella sarà l’ultima a pronunciarsi.