Una settimana.
Questo il tempo concesso, nelle sale italiane, all’ultimo anime distribuito da Lucky Red: Mary e il fiore della strega. Ancora prima di arrivare al cinema, il lungometraggio diretto da Hiromasa Yonebayashi ha fatto parlare di sé per le fortissime relazioni tra il regista e il maestro dell’animazione made in Japan e premio Oscar Hayao Miyazaki, da poco ritiratosi a vita privata. Dopo aver lavorato come animatore per numerose produzioni di Studio Ghibli – casa produttrice delle opere di Miyazaki – tra cui spiccano La principessa Mononoke, La città incantata e Il castello errante di Howl, Yonebayashi ha esordito come regista con Arrietty, gioiellino poco noto del 2010 con sceneggiatura del sensei. Dopo una seconda prova di regia, con Quando c’era Marnie, il ritiro di Miyazaki e la chiusura (non certa) dello Studio Ghibli, Yonebayashi ha finalmente deciso di sganciarsi dall’ombra della celebrità per fondare un proprio studio – Ponoc – e dirigere una prima opera indipendente.
Ci riesce?
Guardiamo la sostanza.
Dopo un burrascoso prologo in medias res, il film si apre sulla figura di Mary Smith, giovane ragazzina dai capelli rossi, probabilmente inglese. Trasferitasi dalla prozia in campagna, aspetta che i suoi genitori la raggiungano prima dell’inizio della scuola, e cerca di impegnare il troppo tempo libero in una qualunque attività in casa e nel giardino che spesso, però, finisce per portare a termine male data la sua irruenza. Febbrile e annoiata, si rifugia nella compagnia di un paio di misteriosi gatti che la condurranno in un parte isolata della vicina foresta. Lì trova un fiore magico, e questo le conferisce enormi poteri permettendole di comandare una scopa che la porta in autonomia nella prestigiosa magi-università di Endor – nuova Hogwarts? – gestita dall’onnipresente Madama Mumblechook. Catapultata senza possibilità di ritorno, Mary si ritrova invischiata in una situazione sempre più drammatica e incontrollabile, fino a un finale eroico e moraleggiante. Una trama che popolare è dire poco. Ma torniamo alla domanda precedente:
Yonebayashi riesce, forte delle proprie esperienze pregresse, a creare un prodotto nuovo e bello in grado di sfidare le vecchie glorie?
La risposta, per il momento, è no. No perché Mary appare un lavoro molto acerbo, pure per un autore che acerbo non è. Da un lato, la trama è promettente ma poco sviluppata (cosa che certo non si più imputare alle produzioni Ghibli), dall’altro, personaggi, luoghi e situazioni sono molto, spesso troppo, debitori del modello originale.
Chiunque conosca i film Ghibli – infatti – non potrà non passare gran parte dei 102 minuti del film ritrovando, come tante easter eggs, questa o quella somiglianza: la scopa di Kiki, lo steampunk di Howl, i giganti di Laputa e i giardini fioriti di Arrietty, per non parlare del classico personaggio “nonnina” – anche se con un twist inaspettato. Anche da un punto di vista prettamente narrativo si appropria di temi carissimi a Miyazaki, quali la necessità di una vittoria di ritorno della natura contro l’hybris umana e un semi-totale affidamento a protagoniste femminili con fegato e cuore.
Che il regista stia affidandosi ancora troppo alla memoria, tralasciando una trama originale, pure in un bildungsroman, e un approfondimento soddisfacente dei personaggi? Oppure, volendo riconoscervi del dolo, si potrebbe imputare questo collage allo spudorato intento di guadagnare la fetta di pubblico lasciata scoperta dal ritiro del maestro?
Malgrado sia facile additare la “sconfitta” dell’autonomia del regista, sarà tuttavia bene mantenere delle riserve. Yonebayashi, pure dopo anni di collaborazioni, sta uscendo da un’ombra davvero molto grossa. La fama di Miyazaki e dello studio Ghibli – grandi nel mondo, e immense in Giappone al punto da aver stimolato la nascita futura di un parco a tema – è davvero un fardello notevole, soprattutto considerato ciò che ci si aspetta da Ponoc. Il lungometraggio contiene diverse chicche che, se sviluppate, potrebbero regalare scenari inediti.
Cosa ci riservano regista e produttori ce lo dirà il tempo, e nel peggiore degli scenari ci sarà sempre una maratona di Ghibli a consolare i nostri cuori feriti.