Michela La Grotteria
Al giorno d’oggi quasi ogni italiano, a scuola, ha studiato almeno una volta Dante, Cavalcanti e la poesia Stilnovista. Pochi però sanno che nel gruppo di poeti che cantavano l’amor gentile figurava anche una donna. Il tempo e la tradizione manoscritta si sono rivelati particolarmente severi con quest’autrice: di lei non ci rimane che il nome con cui veniva citata da altri poeti, Compiuta Donzella, che forse era addirittura uno pseudonimo. Compiuta, infatti, era un nome molto comune nella Firenze del XIII secolo e significava “perfetta”, Donzella invece rivela lo status sociale della poetessa: non sposata. Questo è tutto.
Della sua vita non è rimasta neanche una notizia, fatto che ha portato alcuni studiosi ottocenteschi a dubitare della sua esistenza e a catalogarla come una delle tante donne schermo con le quali i poeti stilnovisti fingevano di dialogare.
Tuttavia le ragioni che confermano la sua esistenza e attività sono diverse.
Innanzitutto, Compiuta Donzella compare nel Codice Vaticano 3793 in qualità di autrice di tre sonetti: A la stagion che ’l mondo foglia e foria, Lascia vorria lo mondo e Dio servire e Ornato di gran pregio e valenza, quest’ultimo da inserirsi in una tenzone con Chiaro Davanzati; inoltre un accenno a una donna che si sarebbe occupata di poesia compare in autori come Maestro Rinuccino o Maestro Torrigiano.
La fonte più autorevole risulta però lo stesso Guittone d’Arezzo, che dimostra, nella lettera V, di conoscerla e stimarla: “Soprapiacente donna, di tutto compiuto savere, di pregio coronata, degna mia Donna Compiuta…”.
È comunque sufficiente leggere i suoi tre sonetti superstiti per rendersi conto che a parlare è una forte voce femminile.
Nel sonetto A la stagion che ’l mondo foglia e foria, dopo un inizio in cui descrive un allegro e delicato paesaggio primaverile, che fa sbocciare l’amore in tutti, l’autrice ci spiazza con un verso crudo e diretto: “e in me”, dice, “abbondano dolori e pianti”. Poi rivela la ragione della sua sofferenza: il padre l’ha promessa sposa, contro la sua volontà, a un tale che lei non ha “disìo né voglia” di sposare.
Compiuta Donzella spicca, dai suoi scritti, come l’unica che abbia dato voce a un’intera generazione ― anzi, a secoli ― di donne forzate da padri affaristi e opportunisti a sposare uomini spesso più vecchi e a loro sconosciuti.
Il loro ribrezzo e la loro volontà silente di opporsi all’imposizione paterna trovano elegante esposizione nelle parole di questa poetessa che non mostra paura nell’usare termini quali “errore, doglia, gran tormento”.
Ancora più determinata appare nell’altro suo sonetto, Lasciar vor[r]ia lo mondo e Dio servire. In questo componimento l’autrice spiega quali siano i suoi piani per il futuro, completamente ignorati dal padre: vorrebbe entrare in convento e servire Dio, ma più che da vocazione religiosa questa sua scelta sembra dettata dal desiderio di svincolarsi da un marito-padrone (“ond’io marito non vorria né sire”), poiché ogni uomo è capace di soprusi dai quali vuole tenersi lontana.
Questa denuncia avvicina i suoi versi a conclusioni estremamente moderne e, allo stesso tempo, rende tutt’ora problematico pensare a un suo effettivo e sereno riconoscimento da parte dei suoi colleghi uomini e a una stima così intensa da farla inserire in un autorevole Canzoniere, interamente al maschile.
Una delle ipotesi più appetitose sull’identità di Compiuta è stata mossa da un verso di maestro Rinuccino: il modo in cui viene da lui definita, “donzella gaia e canoscente”, sembrerebbe avvicinarla alla Gaia nominata da Dante nel XVI del Purgatorio. Gaia da Camino, infatti, viene fatta citare a Dante da Marco Lombardo come unico motivo di fama per il padre Gherardo, e non a caso: la principessa, della cui biografia si conosce molto, era infatti stata allieva di Ferrarino da Ferrara, era mecenatessa e poetessa in provenzale, conosciuta in tutta Italia con fama ora di donna dalle grandi virtù e conoscenze, ora come fanciulla di facili costumi e dai molti amanti.
Qualsiasi fosse la sua vera identità, Compiuta Donzella rimane la pioniera nel genere della poesia italiana, la prima donna che usò uno strumento d’espressione di appannaggio tipicamente maschile per comporre versi ribelli contro norme sociali opprimenti; ed è stata soprattutto la prima a dichiarare la necessità del matrimonio per amore, per scelta, non per acquisto di denaro e alleanze.