“A wall is a very big weapon”. Questa celebre frase incarna perfettamente l’essenza di Banksy, artista e writer
inglese, nonché uno dei maggiori esponenti della street art contemporanea. Affonda le proprie radici
artistiche nel movimento sess—antottino e newyorkese del “situazionismo”, che fa dell’arte visiva il suo urlo di protesta. Banksy ne condivide la sperimentazione, l’attenzione alla realtà urbana e la teoria della “psicogeografia”, che mira non alla distruzione di un’antica cultura ma alla creazione di una nuova.
Proprio questa teoria scandisce il ritmo dei battiti che danno vita alla mostra a lui dedicata al Mudec, museo milanese delle culture, che viene inaugurata proprio oggi, terzo capitolo del progetto “Geografie del futuro” insieme alle mostre già in corso “Capitani coraggiosi” e “Se a parlare non resta che il fiume”.
Come afferma il signor Silvestri, amministratore delegato del progetto:
Oggi è un punto d’arrivo ma anche un punto di partenza. Perché oggi viene sottoposta allo sguardo di un
pubblico, che speriamo sia attento e curioso, una mostra di livello internazionale, con opere uniche e con
una componente che sempre più ci caratterizza: la multimedialità.
Questa è una mostra che racconta del “sapere geografico”: di territori, in cui è profondissima la spaccatura tra le diversità umane, di culture e del loro superamento dei confini in un mondo che riduce sempre più gli spazi, anche grazie alla tecnologia.
I luoghi e i non-luoghi da esplorare diventano sempre più complessi ed elusivi e si spostano da un piano geografico ad uno prettamente umano. Così, Banksy riesce nell’impresa di diffondere messaggi potenti in modo sottile, di andare oltre ogni confine, spostando il messaggio dalla forma al contenuto e riuscendo a raccontare in modo satirico e dissacrante il dramma di un intero popolo.
Esplora territori urbani e umanità di confine con la potenza della protesta ma anche della comprensione e
della profondità di indagare l’animo umano, con la sua distintiva capacità di riuscire a stare simultaneamente un po’ in tutto il mondo.
In modo provocatorio e dialettico l’arte di questo sperimentatore controverso, occupa ed invade spazi urbani che trasforma e a cui dona con grande libertà ed indipendenza una nuova veste, spiazzante rispetto alle tradizionali aspettative, facendosi portavoce di tutti coloro che mettono in discussione le piccoli e grandi ingiustizie quotidiane.
Proprio per questa ribellione, questi “giochi” di guerra e di contraddizioni mostrati nei suoi lavori questa esposizione diventa un’occasione unica. Si tratta della prima mostra italiana dedicata ad una sua monografia, un progetto intriso di coraggio volto a stimolare, attraverso provocazioni, un pensiero critico, una sfida che
mette alla prova il nostro intelletto.
Il progetto, peraltro, non si limita alla sola mostra: dal 27 novembre, Milano sarà popolata da duecentocinquanta enormi manifesti dotati di una creatività particolare.
Saranno bianchi, per lasciar sfogare la creatività di tutti gli artisti che vorranno colorare la città
con le loro idee.
Banksy fa portavoce di un’esplicita e tagliente provocazione nei confronti del potere, del conformismo, della guerra e del consumismo attraverso opere in cui le immagini riescono a trascendere ogni diversità linguistica con stupefacente semplicità.
Infatti “anche se i bambini di sei anni non hanno la minima idea di che cosa sia un conflitto culturale, non avranno alcun problema a riconoscere che c’è qualcosa che non quadra quando vedono la Monna Lisa che impugna un lanciafiamme”. Poche scelte geniali. Immediate ed espressive. Meraviglie che rifletto l’interiezione del mondo urbano e lo spirito ribelle dell’arte.
La vera identità dell’artista resta sconosciuta. “E’ stato come lavorare con un fantasma” scherza Gianni Mercurio, curatore del progetto. Eppure è anche grazie a questo suo tratto dell’anonimato che riesce a
raggiungere il successo e a vestirsi così di un altro paradosso che lo caratterizza.
Banksy è un personaggio romanzesco che sceglie l’invisibilità come superpotere, per scelta o per necessità di
scivolare attraverso le maglie della legalità, costantemente circondato dal mito e da un impenetrabile alone
di mistero. Potrebbe essere chiunque. Potrebbe anche scegliere di visitare la mostra, oggi, domani,
potrebbe essere in mezzo a noi qui ed in questo momento. “Ma è questo che mi piace” conclude Mercurio.
Ed è questo che dà alla sua arte una ribelle e libera magia.