Prima di poter cambiare il mondo devi renderti conto che ne fai parte anche tu: tu stesso fai parte del mondo. Non puoi restarne fuori a guardare dentro.
Dal film The Dreamers
Scandalosamente erotico, politico e sincero. Tanto italiano quanto internazionale. Questo e molto altro era Bernardo Bertolucci, il grande maestro del cinema che si è spento il 26 Novembre 2018 all’età di 77 anni nella sua casa di Roma.
L’amarezza che rimane non deriva solo dalla notizia di un uomo defunto, quanto piuttosto dall’addio che abbiamo dovuto proferire ad un’icona e un’etica.
Non proprio perché tutti condividiamo i suoi ideali e le sue opinioni, e non necesseriamente perchè siamo fanatici spettatori delle sue pellicole, ma perché vediamo in lui un lottatore silenzioso che ci sussura quant’è importante che ognuno creda nei suoi. Lo sguardo di Bertolucci ha rivoluzionato la realtà cinematografica imprimendole un’indistinguibile traccia nella quale combaciano erotismo, esistenzialità e politica.
Per esplorare l’esistenzialità dell’individuo nella maniera più sincera Bertolucci spoglia i suoi personaggi da ogni superfluità (vestiti e nomi) e li lascia trasportare in giochi erotici e carnali. Utilizza l’erotismo come metodo di ricerca del proprio essere e lo fa maestosamente. Sua moglie, come aveva affermato durante un’intervista, aveva detto: «Riesce a far sembrare sexy anche una tazza di tè!». Ma, per quanto i suoi film siano coperti da un pesante velo di sessualità, che evoca una fronte sudata in mezzo al deserto sahariano, forti sono anche le analogie politiche. La trasgressione viene vista come unica via di fuga non solo da sé stessi ma anche da una società soffocante. Nella “scena del burro” del film L’ultimo Tango a Parigi (1972) Paul che sodomizza Jeanne trascina con sé un residuo di fascismo che sodomizza il popolo. Nel film Il conformista (1970), tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia, si gioca ancora con il concetto di politica e si ripresenta il tema del fascismo in maniera più esplicita, senza però fare riferimento a fatti e avvenimenti specifici. Ciò che interessa è penetrare l’individuo e analizzarne il rapporto con tale società; si trasmette un’atmosfera e un’epoca che esterna la sua speranza per un fututo migliore.
Tutto questo si aggiunge anche alla visione più ampia del regista.
I film di Bertolucci sono frammenti della sua biografia affiancati dagli ideali politici della sua generazione.
Insieme esplorano l’ambiguità che regna in una societa con una divisione di classi iniqua e, in essa, l’instabilità dell’io. I parigini del ’68 che paralizzavano il paese e si paralizzavano nell’eros, i liberi deserti in Africa e le libertà disertate in Europa dipingono un quadro di un passato che fa appello ad un futuro che difficilmente si attua ma al quale bisogna credere. Nel film Novecento (1976), oltre a varie altre simboleggiature, esiste anche un palese contrasto tra i protagonisti Olmo e Alfredo, due bambini che nascono in familie appartenenti a classe sociali diversi tra loro che però riescono a stringere e mantenere un’amicizia. Il regista, attraverso Alfredo che si avvicina a Olmo, non si attiene rigidamente alla divisione delle classi e rifiuta la sua eredità identitaria, quella del borghese, adottando invece quella del proletario. L’impossibilità di una totale aderenza alla realtà proletaria, però, è comprensibile dal fatto che resterano sempre in lui macchie della borghesia.
Anche se l’esistenzialità dell’individuo e il suo rapporto con la società rimangono sempre in primo piano, il filone non rimane invariato. Con L’Ultimo Imperatore (1987) pare che Bertolucci si distacchi dalla direzione adottata per L’ultimo tango a Parigi e Novecento e rifletta, lecitamente, sé stesso nel suo eroe, presentandosi come l’onnipotente imperatore del cinema. Film biografico che narra la vita dell’undicesimo esponente della dinastia Qing, l’ultimo imperatore della Cina spodestato per far spazio alla prima Repubblica, presenta un eroe ben diverso dagli eroi precedenti, con un carattere manipolabile e con molto meno spessore psicologico. Gradualmente si assiste ad un cambiamento che, seguendo il motivo della ripetizione, lo porta a scoprire la vera esistenza alla quale era destinato. La ripetizione della prigionia del’Imperatore appunto, prima nella Città Proibita, poi dai Giapponesi e, infine, per tradimento viene interrota soltanto quando il protagonista da Imperatore diventa un cittadino umile e fa pace col suo destino. Ma durante tale evoluzione, i tratti del suo viso iniziani ad assomigliare a quelli di Mao, rimandando sempre al destino che si ripete. Nel viso dell’imperatore ecco che si riflette Bertolucci con la sua forza utopistica.