[dropcap type=”square or circle”] A [/dropcap]l di là del Brennero, da alcuni mesi, governa un giovane cancelliere che molti considerano il “ragazzo magico” (Wunderwuzzi) della politica austriaca. Si chiama Sebastian Kurz e, a trentadue anni, è il primo ministro più giovane d’Europa. Nel 2013 era già ministro degli esteri, nel 2017 è diventato leader dei Popolari (Övp) e nel dicembre scorso ha varato un governo di coalizione con il Partito della libertà (Fpo), una formazione di estrema destra guidata dal nazionalista Heinz-Christian Strache.
Sin dall’inizio del suo mandato Kurz è stato inquadrato come l’ennesimo capitolo del recente libro di successi delle destre europee: dopo Orban, Farage, Le Pen e Salvini, ecco Kurz.
In realtà la situazione austriaca, pur rappresentando un fenomeno in piena continuità con quelli appena citati, è molto più dinamica: a dimostrarlo sono le prese di posizione di Kurz sui temi caldi della propaganda euroscettica, come i migranti e i vincoli economici dell’Unione.
Ma procediamo con ordine. Le elezioni dell’ottobre scorso avevano prodotto una situazione di incertezza. I Popolari si erano attestati al 31,4%, davanti ai socialdemocratici (Spo, 26,9%) e al Fpo di Strache (26%). Kurz era riuscito nella difficile sfida di contenere l’avanzata dell’estrema destra, operando una vera e propria rivoluzione all’interno del partito, sostituendo il colore nero con il turchese, accantonando il tradizionale simbolo e presentando la sua candidatura sotto l’inedito nome di Lista Sebastian Kurz. L’attuale cancelliere era stato abile nel giocare la campagna elettorale nel campo dei suoi avversari di destra, puntando sul contrasto all’immigrazione e sui rimpatri forzati per i clandestini. A ciò aveva aggiunto sia proposte tipicamente liberali, come l’abbassamento delle imposte e la riduzione della spesa statale, sia idee popolari come la lotta ai conflitti d’interesse e alla corruzione.
Questa strategia ha premiato Kurz e l’ha portato alla cancelleria.
La coalizione di governo Övp-Fpo è la riproposizione di quella analoga che governò nei primi anni duemila, guidata dal conservatore Wolfgang Schüssel. Il coinvolgimento nel governo dell’estrema destra rappresentò, allora, un fatto inedito nell’Europa postbellica, tanto che l’Unione decise di intervenire con alcune sanzioni. All’inizio del mandato di Kurz le premesse per una nuova contrapposizione tra l’Austria e l’Ue c’erano tutte, anche in ragione di alcune delle prime misure adottate dal neocancelliere: la chiusura di sette moschee e la minaccia di chiudere il Brennero per impedire ai migranti di entrare nel Paese.
Alla luce di queste posizioni alcuni osservatori hanno temuto un rafforzamento dell’asse di Visegrad, composta da Slovacchia, Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, i paesi dell’est più riottosi nei confronti delle regole europee in materia di immigrazione e di accoglienza. L’avanzata di Salvini e il coinvolgimento della Lega nella maggioranza di governo in Italia hanno ulteriormente avvalorato questa preoccupazione.
In realtà le posizioni euroscettiche e anti-immigrazionistiche di questi governi sono intrinsecamente contraddittorie, proprio in ragione della comune ostilità alla distribuzione dei migranti.
Gli interessi in campo, insomma, sono profondamente diversi: ciò che vuole Roma non può essere, in primis per ragioni geografiche, ciò che vogliono Vienna e Budapest. Nel momento stesso in cui l’Italia ha richiesto una spartizione dei migranti tra i paesi europei, i primi paesi ad opporsi sono stati quelli, apparentemente amici, di Visegrad e dell’Austria. Kurz, presidente di turno dell’Ue, ha giocato in questa vicenda un ruolo fondamentale, sostenendo che «I maggiori problemi di integrazioni sono a carico di Germania, Svizzera e, in particolare, dell’Austria, in quanto Paesi di destinazione». Il cancelliere austriaco si è anche detto pronto, insieme al ministro dell’interno tedesco Horst Seehofer, a rispedire indietro i rifugiati già registrati in Italia e in Grecia che avessero tentato di entrare in Austria. Dunque: contro gli immigrati ma anche contro la redistribuzione.
Su questo tema scriveva polemicamente, nel settembre scorso, il direttore de Il Foglio, Claudio Cerasa: «Domanda numero uno: quali sono i paesi europei che dal 2015 a oggi non hanno accolto alcuni migranti dall’Italia? Sono gli stessi con cui l’Italia sovranista ha scelto di allearsi in Europa per risolvere ogni problema sui migranti: Austria, Ungheria e Polonia. Domanda numero due: quali sono i paesi che all’ultimo Consiglio europeo sono riusciti a rinviare ogni modifica al trattato di Dublino e sono riusciti a introdurre il principio che ogni modifica a un trattato deve avvenire con un voto unanime e non più a maggioranza? Ancora loro: Austria, Ungheria e Polonia».
Se la vicenda dei migranti ha rappresentato la prima cartina da tornasole delle reali intenzioni di Kurz, la questione economica è il vero punto di rottura con le posizioni euroscettiche dell’estrema destra.
Dopo la presentazione della manovra italiana — con lo sforamento del deficit — Kurz è stato tra i primi ad avanzare la proposta di sanzionare l’Italia, dichiarando: «Per come è stata proposta, la manovra non può essere accettata e non rispetta il patto di stabilità. Ci aspettiamo che il governo rispetti le regole». Il suo ministro delle finanze Hartmut Loeger ha rincarato la dose: «Più che mai dobbiamo pretendere disciplina da Roma. Non si tratta solo di una questione italiana, ma di una questione europea».
L’ulteriore strappo di Kurz con l’estrema destra si è avuto infine con la decisione di votare a favore dell’avvio della procedura di sanzioni contro il premier ungherese Orbàn avviata dal parlamento di Strasburgo: «Non si fanno compromessi sullo stato di diritto», ha detto il cancelliere austriaco.
Kurz, insomma, ha due anime.
Rappresenta plasticamente la cerniera tra la tradizione conservatrice della destra europea e la nuova ondata sovranista. Da una parte batte il chiodo dei migranti tanto da sottrarre voti ai suoi alleati nazionalisti, ma dall’altra si propone come volto conciliante e propositivo, pronto a difendere l’Europa da chi vuole farla saltare. Quando ha incontrato Macron, infatti, ha definito la propria agenda “praticamente identica” a quella francese, in particolare sul “programma filoeuropeo”. Sempre a Il Foglio la giornalista austriaca Christa Zöchling ha provato a spiegare questo doppio volto del giovane cancelliere: «Kurz è un pragmatico privo di qualsiasi ideologia. In fondo non fa altro che riproporre uno schema di educazione che lui stesso ha ricevuto».
Resta da vedere se tutto ciò rappresenti una precisa strategia politica. Di certo una linea è stata tracciata: tra i populisti europei inizia ad affacciarsi qualcuno un po’ meno populista degli altri.