Un’operazione poliziaria contro gruppi mafiosi compromessa irrimediabilmente da un tweet. E’ possibile? Stando alle parole di Armando Spataro, procuratore di Torino, è quanto accaduto qualche giorno fa.
Lo scorso 4 dicembre, infatti, il blitz contro la mafia nigeriana ordinato da Spataro è stato rivelato pubblicamente da Salvini, il quale ha postato di prima mattina un tweet con i dettagli dell’operazione, tra cui il numero degli arresti (15, poi smentito).
Immediata è stata la risposta del procuratore che ha invitato il ministro a informarsi sulla tempistica e riservatezza di informazioni come questa prima di divulgarle; per poi aggiungere, qualche giorno dopo, che il blitz non era ancora concluso al momento del tweet di Salvini, suggerendo che la fuga di sei mafiosi sia stata favorita dall’intervento non richiesto del Ministro.
Matteo Salvini ha replicato in un video in cui attacca in modo duro e personale il procuratore, invitandolo a scegliere la pensione data la sua evidente stanchezza, e gridando all’“attacco politico”.
Difficile capire come possa essere definito “attacco politico” un più che lecito invito alla riservatezza. Forse la denuncia di Spataro diventa emblematica se inserita nel contesto di una società che fa un uso smodato e scorretto dei social: più che un mezzo sono diventati una struttura dalla quale è impossibile emanciparsi. Da qui il bisogno compulsivo di condividere, informare gli altri, far sentire la propria voce, anche se è per dire qualcosa di falso o non verificato, e Salvini, facendo leva suo ruolo di primo piano da lui giocato nello scenario italiano, non esita ad applicare questo modello alla politica.
Ma cosa accade quando la politica incontra i social media? Com’è possibile che un comunicato stampa diventi un semplice post? Come può essere normale che i personaggi più di rilievo nel nostro scenario politico utilizzino in modo distorto un mezzo impiegato da milioni di persone e che si facciano trascinare postando così tante volte al giorno da far perdere valore alla propria parola?
Ci si trova in una situazione pericolosa.
Salvini, in particolare, sembra avere una sorta di dipendenza da Facebook e Twitter, che impiega per risultare uno del popolo, alla pari dei suoi elettori. La sua strategia è semplice: propone fatti in modo conciso e diretto, in modo da suscitare una reazione forte e immediata, che spesso si riversa nei commenti.
I social gli permettono di intervenire direttamente e far sentire la propria voce agli elettori senza la mediazione dei giornali: un modo, insomma, per evitare il filtro della stampa e far passare le notizie nel modo che gli è più congeniale.