Fotografia di Marco Aurelio Mendia
Raccontare la città per darle un’identità, una zona alla volta, un viso alla volta, attraverso sguardi sempre nuovi: questo è Perimetro. Il progetto si pone l’obbiettivo di scattare delle istantanee che restino e che diventino parte di un progetto unitario, in una città come Milano, la città del consumo, in cui le settimane a tema (design, fashion) corrono così veloci da non riuscire, una volta concluse, a lasciare una traccia concreta.
Perimetro cerca di mettere dei punti fermi, dando vita a dei contenuti che possano restare nel tempo.
Il formato di Perimetro è quello di una community/magazine online, che presenta però una volta al mese un estratto cartaceo che raccoglie gli scatti essenziali affinché resti su carta una testimonianza più concreta.
Il fine è quello di abbattere ogni muro, creando un dialogo, una vera e propria community di scambio diretto: attraverso il sito in cui si pubblicano i vari progetti fotografici integrali, accompagnati da testi che raccontano ciò che è racchiuso nelle immagini, tramite i social per arrivare più agilmente a tutti e sfruttare una comunicazione più immediata, e con la newsletter invece per raccontare Milano sotto un altro punto di vista, informando di mostre ed eventi interessanti che si svolgono in città, cercando di traghettare il fermento culturale che è costantemente in moto sul territorio milanese. Perimetro è però prima di tutto un racconto visivo, grazie ad un mezzo come quello della fotografia che nell’immediatezza e nella chiarezza dell’immagine è in grado di comunicare con una potenza incredibile.
Gli sguardi fotografici che orchestrano questi racconti esulano dal campo pubblicitario, commerciale, dalla fotografia patinata, andando invece nella direzione di una fotografia narrativa. Non interessano scatti di una bellezza fine a se stessa, ma scatti che raccontino storie. Il progetto è sempre aperto a nuove collaborazioni, cerca di arginare quei fenomeni di freddo distacco che spesso in campo fotografico e artistico tendono a crearsi tra chi tesse le fila delle varie realtà e gli aspiranti fotografi e artisti emergenti.
Incontriamo il fondatore di Perimetro: Sebastiano Leddi.
Qual è l’idea che ha fatto scaturire in te l’esigenza di dare vita al progetto?
Dal punto di vista personale l’anno scorso mi sono trovato ad avere l’opportunità di spostarmi in Cina per lavoro. Dal momento in cui poi questo non è avvenuto, ho sentito l’esigenza di rimanere a Milano lasciando però qualcosa di concreto alla mia città, un segno e non restando soltanto un cittadino di passaggio. Questo desiderio ha acceso poi tutta una serie di riflessioni che hanno portato alla luce Perimetro. Le mie competenze erano già legate alla fotografia, ma oltre a questo ho speso molti anni dedicandomi alla promozione di eventi a Milano, di settore principalmente musicale. Quest’esperienza ha dato vita ad una sorta di community, a partire dalla quale ho poi riflettuto su come poteva essere interessante iniziare a comunicare e a lavorare in modo più incisivo sulla città attraverso la fotografia.
Cosa pensi della comunicazione sui social in questo momento storico e come questo ha a che fare con il vostro progetto?
In particolare in un momento come questo in cui Instagram è diventato un canale comunicativo molto più aperto a tutti, e tutti hanno iniziato in modo più incisivo a parlare il linguaggio dell’immagine, questo è sicuramente un mezzo molto efficace per un progetto come il nostro. Mi fa sorridere pensare a quando inizialmente, nel momento in cui Instagram era ancora alle prime luci, guardando il sovraffollarsi di scatti storti che infestavano la home, riflettevo domandandomi quanti, nel momento in cui decidevano di contribuire in qualche modo a questa comunicazione delle immagini, fossero realmente consapevoli della portata dello strumento che avevano tra le mani. Con il passare del tempo le foto poi si sono raddrizzate, le parole che le accompagnavano si sono raffinate, si è presa consapevolezza di cosa volesse dire posare davanti ad una macchina fotografica o anche più semplicemente davanti ad un telefono. Un altro aspetto che ora ci sembra scontato ma che fino a poco tempo fa non lo era è quello del selfie, giocosamente paragonabile alla scoperta del fuoco per un uomo della caverna, il momento in cui in modo quasi grottesco si faceva capolino nei primi autoscatti con la fotocamera interna, ora addirittura ci si filma mentre si parla. Siamo quindi davanti ad una comunicazione visiva che è un linguaggio ormai parlato da tutti.
A chi si rivolge Perimetro e che tipo di collaboratori cercate?
Il range a cui ci rivolgiamo va dai 20 ai 40 anni circa, ma abbiamo collaboratori anche di 18 o 50 anni. Sicuramente cerchiamo sguardi freschi, che raccontino la Milano di adesso, senza trascurarne la storicità, ma l’obiettivo anche in quel caso sarebbe sempre di mostrarla da un punto di vista nuovo. Sul nostro secondo numero cartaceo è uscito un sevizio di cui sono protagonisti i ragazzi del Manzoni: sono ritratti molto forti, primi piani che si confrontano con lo spettatore in maniera diretta con sguardi penetranti e con tutte le loro imperfezioni in bella vista. Sono veri. Lo spazio per ascoltare i giovani è sempre meno, è raro poter sentire le loro idee e opinioni, quindi creare sia a livello fotografico sia a livello di dialogo un momento di scambio è stato veramente fondamentale. Questo primo progetto è stato costruito sui ragazzi ma ne sta nascendo anche uno sulle ragazze, che coinvolge sempre i giovani e sarà esteso a tutta la città e non solo limitato allo spazio di un liceo.
Come mai secondo te in questo momento stiamo assistendo ad uno sbocciare sempre più diffuso di progetti a matrice indipendente, e come mai stanno suscitando sempre più interesse?
Questo é senza dubbio un altro trend che dobbiamo ai social, che hanno dato una visione estremamente ampia del mercato, anche di quello artistico, dando modo al pubblico di formarsi degli interessi sempre più specifici “verticali”. Questi interessi verticali hanno sicuramente spinto e aiutato l’identità di progetti e di realtà a carattere indipendente che trattano sempre più nel dettaglio qualcosa di settoriale: fotografia, grafica, arte… questo perché la comunicazione si serve dei ‘vertical’ cercando di assecondarli.
Qual è la tua idea della fotografia in senso più generale?
Per me il valore dello strumento fotografico è inestimabile, è come una penna, che lascia spazio ampio, attraverso la quale si può far ridere, si può far piangere o far riflettere. Ogni fotografo può portare intenti completamente differenti pur utilizzando lo stesso strumento.
Si pensa sempre che un bravo fotografo è colui che ti ritrae bello, che mostra solo i tuoi punti di forza e i tuoi lati migliori, ma un bravo fotografo è chi ti ritrae come veramente sei, chi riesce a trasmettere la realtà nella maniera più diretta possibile.
In particolare in un momento come questo in cui troppo spesso l’attenzione alla bellezza e all’apparire scavalca tutta una serie di contenuti, compreso appunto quello della rappresentazione del reale, è importante sapersi orientare e formarsi una cultura dell’immagine, cosa che io stesso cerco di insegnare a mio figlio sin da piccolo. Credo infatti che anche a livello didattico sarebbe fondamentale dedicare più spazio alla cultura dell’immagine.