Del: 22 Gennaio 2019 Di: Margherita Maroni Commenti: 0

Si riempiono le vie, 
lentamente,
 d’umanità.

Così Angelo Rognoni descrive la fine della sua prigionia nei lager. Rognoni combatté sul Carso, ma venne catturato durante la difesa del Matajur e dovette scontare quattordici mesi nei campi di prigionia. Al tempo, il soldato pavese aveva appena vent’anni ed era uno spirito forte e ribelle, tanto che in seguito diventò un parolibero nel movimento dei futuristi.

Il Comune di Pavia, in collaborazione con il Museo del Risorgimento, ha deciso di pubblicare il romanzo autobiografico che nacque dall’esperienza di Rognoni, in occasione dell’anniversario dell’armistizio che mise fine ai combattimenti della Prima Guerra Mondiale.

Tra gli oggetti più interessanti, insieme all’autobiografia mai pubblicata di Rognoni, ci sono anche le lettere e le poesie di Giuseppe Resegotti, che venne internato con lui nel campo di prigionia di Celle Lager; la corrispondenza con la famiglia dell’eroe Giuseppe Franchi Maggi; e, ancora, album di fotografie sulla vita quotidiana dei soldati, come quello dell’infermiera della Croce Rossa Maria Cozzi.

A cento anni dalla fine della Prima Guerra Mondiale non è rimasto nessun testimone diretto che possa raccontare il coraggio, la paura, gli odori, i rumori, la fame, il freddo, la confusione e l’ardore di quei momenti. È ora più che mai importante recuperare la memoria attraverso cartoline, lettere, fotografie e diari, oggetti e medaglie affinché non si spenga il ricordo dell’immenso sacrificio della Grande Guerra, che coinvolse un’intera generazione.

I giovani di oggi non possono dimenticare le storie dei loro coetanei di allora al fronte, capire chi siamo e da dove veniamo e su cosa si basa la nostra libertà: arduamente ottenuta dai soldati e dalle donne di quel tempo.

Considerando poi il fatto che praticamente ogni famiglia italiana ha avuto un padre, un marito, un figlio in guerra, i Musei Civici di Pavia si sono fatti promotori di un’indagine sul territorio per portare alla luce i materiali fino ad oggi conservati in fondo ai cassetti o nei vecchi archivi.

La mostra — intitolata “Tra il vento e la neve” — raccoglie disegni, poesie, lettere, elmetti, divise e tanto altro, esposti in teche di vetro e capaci di evocare tutta la tenacia che quei soldati riposero nelle battaglie, ma anche l’estrema caducità di cui fecero esperienza. Sui muri alcuni pannelli con foto e frasi esemplificative divisi per argomento: la fame, il freddo, le condizioni igieniche precarie. Tutte situazioni a cui oggi non prestiamo particolare importanza ma che, al tempo, erano la linea sottile tra la vita e la morte. Tutti questi oggetti, di carta o di metallo, hanno il potere di evocare mirabilmente le storie individuali dei soldati, mettendo al centro dell’attenzione le loro emozioni e paure, la tristezza nel lasciare la famiglia per un futuro incerto, l’eccitazione prima di entrare in azione e lo smarrimento nel ricevere ordini insensati, il logoramento causato da una lenta guerra di posizione, la terribile esperienza dei prigionieri italiani nei lager tedeschi, austriaci e ungheresi dopo il disastro di Caporetto.

La mostra ci regala un momento di riflessione, una presa di coscienza collettiva su spiragli di memoria che dovremmo mantenere sempre aperti perché rimangano anche in futuro vividi spunti di consapevolezza. Una vera e propria iniziativa culturale che riesce non solo ad arricchire il percorso all’interno dei musei, ma anche la nostra vita, sempre più legata ai valori futili del nuovo millennio.

Margherita Maroni
Amo la poesia, la matematica è solo un diletto. Leggo giornali, scrivo articoli e amo imparare. Lilli Gruber wanna be.

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