Siamo in una scuola americana nel Maryland, la Bethesda-Chevy Chase High School.
E’ la terza ora quando Yasmin Behbehani viene a conoscenza attraverso l’amica Nicky Schmidt di una lista che circola nella scuola, in cui sono elencati i nomi di alcune ragazze dell’ultimo anno, affiancati da una valutazione sul loro aspetto fisico caratterizzata da una precisione decimale.
Behbehani riferendo l’esperienza racconta che dopo aver passato gli ultimi anni a combattere con un disturbo alimentare, l’episodio ha solo aggiunto più ansia ai suoi problemi. “E’ stato doloroso perché mi ha portata a domandarmi perché non fossi degna di essere un numero più alto,” ha detto “ma alla fine mi sono resa conto che sono io a definire chi sono”.
A quanto pare la lista era stata creata l’anno prima ma è riemersa attraverso uno scambio di messaggi, finendo per essere scoperta anche dalle dirette interessate.
Una di loro, Lee Schwartz, racconta di essersi sentita violata, oggettificata ma soprattutto tradita da quegli stessi compagni di classe con cui lei parlava ogni giorno. “Ero una loro amica ma per loro ero anche un numero”. Liste come questa circolano tra i ragazzi da generazioni, ma questa volta le ragazze hanno deciso di non ignorare il problema e che proprio nell’era del movimento #MeToo in cui le donne hanno preso una posizione forte contro le molestie sul luogo di lavoro, era arrivato il momento di cambiare. Hanno tratto da questo episodio l’opportunità di parlare di molestie anche all’interno del contesto scolastico, luogo per altro in cui la lista è nata.
Quando le ragazze hanno denunciato all’autorità scolastica l’episodio, richiedendo azioni disciplinari, la scuola ha deciso di investigare e ha promesso di prendere provvedimenti non meglio specificati nei confronti di chi avesse creato la lista.
Ma per le ragazze non era abbastanza e così Nicky Schmidt, anche lei parte di questa riprovevole classifica, invita tutte le ragazze a presentarsi nell’ufficio della preside il giorno successivo. Durante l’incontro le ragazze affermano il proprio diritto di sentirsi sicure nell’ambito scolastico e di essere libere di imparare in un ambiente che non sia intriso di una cultura che giustifica i ragazzi per loro azioni misogine.
Ci sarebbe da chiedersi se parlare di misoginia sia corretto e se la reazione di queste ragazze sia forse eccessiva. Osservare gli altri e prendere atto del loro aspetto fisico è qualcosa di estremamente naturale.
Ma quando una tendenza si trasforma in molestia?
Sembra scontato, eppure c’è da ribadirlo: nessuna reazione è esagerata perché le emozioni sono soggettive. A prescindere dall’intenzione dei ragazzi, che poteva anche non essere quella di far sentire le loro compagne in difficoltà, bisogna considerare l’effetto prodotto da questo comportamento, ovvero che loro si sono sentite molestate. Molte di loro hanno raccontato di aver provato un grande disagio in classe nei giorni successivi, tanto da vergognarsi di alzarsi per andare in bagno durante gli orari di lezione.
A chi prova a giustificare questo comportamento, riconducendolo a un atteggiamento tipico dell’età adolescenziale, occorrerebbe riflettere e analizzare con più attenzione il contesto sociale in cui viviamo, ricco e traboccante di immagini sessualizzate, la maggior parte delle quali riguarda soggetti di sesso femminile. In una società che pensa alla donna come corpo, la creazione di una lista del genere non sembra un evento degno di risonanza mediatica, non fa scandalo perché risulta qualcosa di normale e quindi giustificabile. Dal confronto con la preside emerge così la necessità di organizzare una riunione con tutti gli studenti, inclusi i ragazzi che hanno creato la lista.
All’incontro, tenutosi proprio l’8 marzo, Giornata internazionale della donna, partecipano studenti e collaboratori scolastici. Molte ragazze scelgono di raccontare le proprie esperienze di molestie avvenute sia all’interno che all’esterno del contesto scolastico e la riunione che non doveva durare più di 45 minuti, finisce per dilungarsi per due ore e mezza.
Alla fine anche il ragazzo che ha creato la lista decide di parlare e di prendersi la responsabilità del proprio errore, scusandosi pubblicamente.
In un intervista poi spiegherà di essere grato che le ragazze abbiano deciso di parlare e di farsi sentire perché questo gli ha permesso di comprendere l’esperienza anche dal loro punto di vista e dichiara che il ricordo di questo incontro rimarrà per sempre con lui. La creazione di classifiche di questo tipo rappresenta quasi la normalità, in qualsiasi contesto, ma queste ragazze hanno dimostrato che solo perché siamo abituati a certe situazioni, non significa che bisogna accettarle passivamente. Il loro gesto ha dimostrato che c’è sempre la possibilità di cambiare le cose.
La fotografia di copertina è stata pubblicata dal The Washington Post