Del: 12 Aprile 2019 Di: Lorenzo Rossi Commenti: 0

Questo 26 Marzo il Parlamento Europeo ha approvato la nuova direttiva sul diritto d’autore, con 348 voti favorevoli, e adesso dovrà essere esaminata dal Consiglio dell’Unione Europea.
La nuova direttiva ha il compito di sostituire le vecchie disposizioni sul copyright risalenti al 2001 e ormai considerate non più adatte ai processi di sviluppo che il web ha intrapreso in queste quasi due decadi. In più, avrebbe come obiettivo il miglioramento della competizione fra le piattaforme digitali e ridurre il gap tra i colossi del web come Google o Facebook e i siti minori, dato lo spropositato guadagno che i primi ottengono fornendo l’accesso a materiale creato da altre persone mentre gli autori stessi ottengono sempre una minor fetta di remunerazione per il proprio lavoro.    

Ma nonostante l’esito positivo in Parlamento e gli apparenti buoni propositi, questo nuovo regolamento non è stato ben accolto dalla popolazione di vari Stati, che ha sollevato pesanti critiche soprattutto riguardanti gli articoli 11 e 13 della direttiva.

 

  1. Il primo riguarda la cosiddetta “link tax”, la quale stabilisce che gli editori possano ottenere una remunerazione equa e proporzionata per l’utilizzo digitale delle loro pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di servizi digitali. In poche parole, generare maggiori ricavi per gli editori europei dalle piattaforme, cosiddette “aggregatori di notizie”, che riportano parte o interamente i loro articoli. È chiaro che l’obiettivo di questa disposizione siano gli enormi aggregatori come Google News, ma chi dissente è preoccupato che questa legge possa essere applicata anche su siti minori, ma non è la sola critica. Si è denunciato, infatti, che la norma appare in netto contrasto con il testo della Convenzione di Berna (art.10, comma1) che riconosce e garantisce il diritto di quotare news e articoli o di creare “press summaries”. Si è fatto leva, inoltre, sulla considerazione che tale operazione rappresenterebbe un tentativo di replicare, su scala UE, un’idea già fallimentare in Germania e in Spagna – nel primo caso, infatti, tale meccanismo fu dichiarato invalido dalla Corte Suprema tedesca, mentre, nel secondo caso, esso ha avuto un impatto negativo sulla visibilità e sull’accesso alle notizie. Più in generale, l’elemento di maggiore discussione di tale norma è stato individuato in una generale minaccia alla libertà di espressione e di accesso alle informazioni per gli utenti.
  2. Il secondo e più controverso articolo 13 è ciò che ha fatto più discutere il popolo del web, oltre a farlo scendere in piazza con numerose manifestazioni. Il soprannominato “upload filter” implica che le piattaforme “che memorizzano e danno accesso a grandi quantità di opere e altri materiali caricati dai loro utenti” sono responsabili per violazione del copyright commessa dagli utenti stessi, e quindi posso essere sanzionate su richiesta degli autori di tali opere, o da chi ne detiene i diritti. Per questo, i servizi di condivisione dei contenuti devono concedere in licenza i materiali protetti da copyright dai titolari dei diritti e cooperare con questi ultimi “in buona fede” per evitare che si verifichino le già citate violazioni. Anche questa disposizione è pensata per le grandi piattaforme, come YouTube, Dailymotion e Soundcloud, per questo vi sono diverse categorie escluse: enciclopedie online senza scopo di lucro, piattaforme di sviluppo software open source, servizi di cloud storage, mercati online e servizi di comunicazione. Inoltre, data l’opinione contrastante tra Francia e Germania – la prima voleva l’art. 13 applicato su tutte le piattaforme, la seconda no – sono state decise in un accordo altri tre requisiti che determinano l’applicazione di questa norma: una presenza sul web inferiore ai tre anni, un guadagno annuale inferiore ai 10 milioni di euro e meno di 5 milioni di visitatori all’anno.

Nonostante tutto ciò, gli aspetti critici sono stati messi in evidenza, iniziando pure il tormentone della “macchina della censura” e della “morte dei meme” – seppur fosse stato chiarito che meme, recensioni e parodie non avrebbero fatto parte di ciò che poteva costituire una violazione. Si teme infatti che i filtri non riescano a identificare differenze tra questo materiale e quello ritenuto rischioso. Ma ovviamente non ci si limita soltanto ai meme.
L’eurodeputata tedesca Julia Reda ha suggerito che i servizi digitali dovrebbero “acquistare licenze per tutto ciò che gli utenti possono eventualmente caricare” e l’ha definita una “impresa impossibile”. Reda rincara la dose sul suo blog, affermando che tutti i siti e le app in cui gli utenti possono condividere contenuti saranno probabilmente costretti ad accettare qualsiasi licenza concessa da un titolare dei diritti, a prescindere da quanto siano pessimi i termini, e indipendentemente dal fatto che vogliano che il materiale protetto da copyright del titolare sia disponibile sulla loro piattaforma, per evitare il enorme rischio legale.
Altro punto riguarda i costi per lo sviluppo di questi filtri. L’articolo 13 non costringe le aziende a filtrare ciò che gli utenti stanno caricando, sebbene i critici sostengano che le società rimarranno senza possibilità di scelta. YouTube ha già il suo sistema Content ID, in grado di rilevare musica e video protetti da copyright e bloccarli. Ma i critici sostengono che sviluppare e implementare questo tipo di filtro sarebbe troppo costoso per le piccole imprese o le start-up.

In poche parole, una direttiva pensata per migliorare la qualità e la concorrenza nel mercato digitale rischia di andarlo a danneggiare, ostacolando le possibilità delle piattaforme e dei siti minori di competere con le multinazionali che dominano il web, le uniche a possedere abbastanza risorse per soddisfare le richieste dei due discussi articoli. Il diritto d’autore è oggigiorno attraversato da profondi cambiamenti nel vecchio continente. La materia vive, infatti, una fase prevalentemente determinata dall’avvento delle nuove tecnologie, le quali, da un lato, rappresentano una grande opportunità ma, dall’altro, grandi rischi.
Tale contesto ha acuito alcuni dei difetti strutturali della disciplina europea in materia di diritto d’autore, imputabili perlopiù al mancato processo di armonizzazione del sistema. Infatti, nonostante tale questione sia discussa da oltre venticinque anni, essa è rimasta essenzialmente articolata su base territoriale e non affrontata da un punto di vista centralizzato, esattamente come diversi altri temi dell’integrazione europea.

Trattandosi di una direttiva, affinché possa diventare a tutti gli effetti legge nei singoli Stati membri, occorre che questi ultimi la recepiscano, potendo entro certi limiti anche modificarla.
Secondo un sondaggio Harris Interactive, l’89% degli italiani e l’87% degli europei è d’accordo con l’approvazione di regole europee che garantiscano la remunerazione di artisti e creatori per la distribuzione dei loro contenuti sulle piattaforme internet.
Ci si auspica, pertanto, che le eventuali modifiche alle norme commentate non siano tali da poter ostacolare la realizzazione dell’ambizioso disegno di un mercato digitale unico anche sul piano del diritto d’autore. L’Europa, infatti, necessita di un regime di copyright più armonizzato che stimoli la creazione e gli investimenti in tale settore e ne permetta, parimenti, la trasmissione dei prodotti e il loro consumo attraverso le frontiere, attingendo alla ricca diversità culturale del continente.

Lorenzo Rossi
Politicamente critico. Fieramente europeista.
Racconto e cerco risposte in quel che accade nel mondo.