Del: 5 Aprile 2019 Di: Luca D'Andrea Commenti: 0
Campo popolazioni romanì

Il 15 marzo scorso abbiamo avuto il piacere di frequentare una lezione che trattava lo sterminio di rom e sinti da parte del nazifascismo. Il professore Luca Bravi, dell’Università degli Studi di Firenze, in due ore ha tratteggiato con precisione la storia della popolazione romanì, sfatando pregiudizi che anche al giorno d’oggi rimangono forti nella nostra società.

Quasi tutti gli studiosi concordano nell’indicare l’India come luogo di provenienza di queste popolazioni, che tra il 1300 e gli inizi del 1400 giungono in Europa diventando stanziali. Il termine con cui molti definiscono questi popoli è quello di Zingari, ma è sbagliato utilizzarlo perché oltre ad avere un’accezione negativa, questa denominazione non ha una corrispondenza nella lingua romanes.

La popolazione romanì ha diversi sottogruppi in Europa: si chiamano Sinti quelli che abitano nel Nord-Europa, Germania e Italia; Manouches i francesi; Kale gli spagnoli; Romanichals i residenti in Inghilterra e Irlanda; Rom gli abitanti dell’Est-Europa e del Sud-Italia.

Sin dal loro arrivo hanno subito persecuzioni che si sono protratte fino ai giorni nostri: partendo dai decreti di espulsione, i lavori forzati e le uccisioni impunite dei primi secoli, passando per le leggi razziali, le sterilizzazioni e lo sterminio nella prima metà del Novecento, per giungere infine ai fatti del dopoguerra che sono interessanti da analizzare più a fondo perché riguardano la nostra società uscita dal terribile periodo della Seconda guerra mondiale, dopo il quale avremmo dovuto avere una sensibilità maggiore nei confronti delle minoranze.

Nei lager nazisti trovarono la morte 500.000 rom e sinti, in lingua romanes questo sterminio si chiama Porrajmos e significa “gigantesco divoramento”, ma nonostante l’eccidio si inserisca in un progetto di eliminazione di massa della popolazione romanì, ad oggi tutto questo non ha trovato l’adeguato riconoscimento. Nessun rom e sinto fu chiamato per testimoniare durante il Processo di Norimberga e quando la Repubblica Federale Tedesca stanziò degli indennizzi per risarcire i perseguitati del periodo nazista, a nessuno di loro fu concesso inizialmente questo diritto.

Ma la storia delle persecuzioni non termina con la fine della Seconda guerra mondiale:
in Francia fu abrogata solo nel 1969 una legge dei primi anni del Novecento che imponeva ai Manouches di sottoporsi a diverse misurazioni e identificazioni fotografiche che venivano annotate nel certificato antropometrico d’identità, chiunque fosse stato trovato sprovvisto di tale certificato veniva punito con un periodo di reclusione da 1 mese a 1 anno.
In Svezia nel 1975 termina formalmente la politica delle sterilizzazioni della comunità romanes iniziata nel 1934, e in Svizzera nel 1973 viene chiusa “L’opera di soccorso per i bambini della strada maestra” una sezione della società Pro Juventate istituita nel 1926 che sottrasse almeno 500 bambini da famiglie romanes.

Venendo al giorno d’oggi e spostandoci nel nostro paese, va evidenziata la nostra percezione della comunità rom che ha indubbiamente una connotazione razzista.

Quando pensiamo a un membro di questa comunità l’immagine che genera la nostra mente è quella di persone vestite secondo la loro tradizione, che vivono in campi fatiscenti e che si dedicano ad attività illegali per sbarcare il lunario, ma questa narrazione, seppur prevalente, è falsa. I membri di questa etnia sono arrivati in Italia nel corso di tre ondate: la prima è quella del 1300 di cui abbiamo già parlato, la seconda durante le guerre balcaniche degli anni ’90 dello scorso secolo e la terza nel 2007, dopo che la Romania entrò nell’Unione Europea.

La comunità romanì in Italia è composta da circa 170.000 individui la cui maggioranza è di antico insediamento, perciò essi sono perfettamente integrati e italiani. Nei campi invece vivono poco più di 20.000 persone e questo dato è eloquente per comprendere la distorsione del racconto di questa comunità. Avendo davanti agli occhi questi numeri vengono i brividi nel ricordare le dichiarazioni del ministro Salvini, che lo scorso giugno ha parlato di
fare un “censimento dei rom”, soprattutto perché ancora oggi molti italiani hanno timore a rivelare la loro etnia per paura di avere ripercussioni in campo professionale. In Italia la presenza dei rom è bassa rispetto ad altri paesi europei, eppure la percentuale d’ostilità nei loro confronti è la più alta tra tutti i paesi dell’Unione, questa probabilmente è la conseguenza della malagestione della presenza dei campi rom.

Il nostro Paese è quello che si è maggiormente impegnato nella costruzione di aree all’aperto dove segregare queste comunità, infatti quando ci furono fondi disponibili per trovare una soluzione, l’unica risposta che le nostre amministrazioni furono in grado di dare è stata quella di costruirne degli altri in luoghi diversi. Il problema dell’integrazione di queste 20.000 persone è reale e va risolto, ma è vergognoso che la narrazione della cultura e del popolo rom venga circoscritta solo al racconto di queste problematiche. Le amministrazioni dovrebbero lavorare con le associazioni che promuovono nei campi d’integrazione e utilizzare i fondi con lungimiranza, non solo per spostare il problema. Da parte nostra quello che possiamo fare è iniziare a raccontare la vera storia di questo popolo e lottare contro ogni generalizzazione e forma di razzismo nei loro confronti.

Fotografia di Federica Fiore

Luca D'Andrea
Classe 1995, studio Storia, mi piacciono le cose semplici e le storie complesse.