Del: 23 Maggio 2019 Di: Francesco Gallo Commenti: 0

Immaginate di trovarvi su una splendida spiaggia, al tramonto. Al vostro fianco c’è una vera e propria divinità nelle sembianze di una splendida donna. Questa donna vi ama, vuole trascorrere tutto il suo tempo con voi, ed è disposta a donarvi la qualità probabilmente più desiderata dall’essere umano: l’immortalità. Nonostante sette piacevoli anni trascorsi con lei su un’isola sperduta, il vostro cuore è triste. Guardate pensieroso l’orizzonte: né la vita eterna, né una dea che vi ama può darvi ciò che desiderate davvero. Quello che volete si trova oltre il mare, lontano. Sono la vostra casa e vostra moglie che aspetta da molto tempo il vostro ritorno.

L’uomo di cui stiamo parlando è Ulisse, l’impavido eroe del Mediterraneo, da sette anni imprigionato sull’isola di Ogigia con la ninfa Calipso. Il prode guerriero vuole soltanto far ritorno a casa sua: è pervaso da una struggente nostalgia. Nostalgia è composta da due parole greche (nostos, che significa “ritorno a casa”, e algos, “dolore”) che indicano letteralmente un dolore sgorgante dal desiderio di tornare casa.

Nonostante questo termine sia stato coniato poco più di trecento anni fa, ha conosciuto un successo strepitoso: tutti nel corso della vita provano più volte questo difficile sentimento, perdendosi nei ricordi di eventi passati, situazioni ormai perdute o persone con cui i legami si sono allentati. Come l’amore, anche la nostalgia – emozione a sua volta triste e bella insieme – ha tutte le carte in regola per essere sfruttata dai marchi e dalle aziende contemporanei, tanto da dare vita a un settore specifico del marketing, ossia il nostalgia marketing, o marketing retrò.

Il marketing nostalgia-oriented scava all’interno dei ricordi dei consumatori con lo scopo dia rinnovare il marchio, dargli nuova visibilità e attirare nuovi clienti tramite la messa in scena di situazioni passate volte a suscitare curiosità, interesse e affezione nei confronti dei prodotti (alimentari, multimediali, video ludici e via dicendo). La psicologia umana infatti è sempre stata ben nota e studiata dalle aziende.

Il trascorrere inesorabile del tempo produce un effetto di abbellimento del passato: da ciò derivano numerosi detti popolari inneggianti al maggior livello qualitativo di ciò che è stato (ai miei tempi, si stava meglio prima…), a discapito dei giorni presenti.

Le aziende utilizzano tutto questo vortice di emozioni per reimmettere sul mercato dei prodotti che hanno colpito l’immaginario collettivo di tante persone, aggiornandoli e adattandoli ai nuovi gusti che si sono via via formati. Le energie delle aziende in questo caso non sono investite tanto nel prodotto quanto nell’esperienza emotiva del consumatore stesso, il quale rivedendo un oggetto della propria infanzia o adolescenza in una veste adattata alle nuove generazioni, non può che mostrarsi interessato e sentirsi in qualche modo speciale: lui c’era quando l’azienda aveva creato questo oggetto (che sia un videogioco, un alimento, un computer, un’auto, un cartone animato…) e adesso le nuove generazioni hanno la possibilità di conoscerlo.

Il marketing nostalgia ha iniziato a prendere piede agli inizi di questo secolo, forse a causa dell’enorme produzione industriale e culturale degli ultimi anni che ha rigurgitato sul mercato mondiale tantissimi prodotti di ogni tipo. Aziende come Sony e Fiat hanno mostrato qualcosa di vecchio per promuovere il nuovo; la prima rimettendo in vendita nel 2018 la famosa PlayStation 1 uscita originariamente nel 1994 con il nuovo nome PlayStation Classic, e la seconda proponendo uno spot pieno di icone del passato allo scopo di lanciare nel miglior modo possibile la nuova Fiat 5004, la cui versione storica è uscita più di cinquant’anni prima. Anche i famosi occhiali a goccia Ray-Ban hanno conosciuto una spettacolare rinascita agli inizi degli anni 2000: pochi sanno che il modello originale di questi occhiali risale agli anni ’30, e una efficace campagna pubblicitaria li ha riportati alla ribalta, catturando l’immaginario collettivo popolare su quegli iconici anni pre-bellici.

Di esempi ce ne sono molti, ma ogni rimescolamento del passato sembra scaturire da due fattori: uno è la percezione di crisi e sfiducia che i consumatori sentono sempre più spesso a causa dell’enorme numero di brand presenti oggi; l’altro è l’esigenza di recuperare con l’immensa forza del ricordo una sensazione di genuinità e qualità che si tende ad assegnare (non sempre correttamente) alle creazioni del passato. Il settore tecnologico e la sfera dell’intrattenimento sono perfettamente predisposti all’utilizzo del marketing retrò.

L’azienda che oggi più di tutte sembra sfruttare in modo massiccio il marketing vintage è la statunitense multinazionale Disney. La Disney negli ultimi anni sta riutilizzando idee, sceneggiature e lungometraggi del passato sfornandoli nella forma di numerosi live-action. Il prossimo (ennesimo) film con attori in carne ed ossa si intitolerà Aladdin, la cui uscita è prevista in Italia questo 22 maggio, e si rifà esplicitamente all’originario Classico animato del 1992.

Nostalgia marketing

Aladdin non è il primo remake della storia Disney. Il primo film con attori in carne ed ossa ispirato a un precedente cartone animato uscì nel 1996: La carica dei 101 – Questa volta la magia è vera fu un successo di critica e di pubblico, ed era ovviamente un rifacimento de La carica dei cento e uno del 1961. Dopo la produzione del sequel del 2000, la Disney ha interrotto per dieci anni ogni rifacimento in live-action. A partire dal 2010 però la multinazionale sembra aver canalizzato buona parte delle sue risorse creative nel ripescaggio di vecchi classici da riproporre a giovani e a vecchi spettatori: i primi infatti apprezzano la computer grafica molto più delle generazioni precedenti; e i secondi hanno l’opportunità di rivivere le emozioni d’infanzia dei classici animati in una veste del tutto nuova.

La strategia sembra efficace perché anche qualora i nuovi film non piacessero agli amatori dell’animazione tradizionale, essi mostrerebbero allo stesso tempo un rinnovato interesse e la volontà di rivedere i cartoni animati dell’infanzia, attivando così una nuova circolazione nel mercato home-video. In ogni caso la lunga lista di film live-action presentata dalla Disney sta riuscendo a conquistare il suo obiettivo: non far cadere nel dimenticatoio la produzione animata del passato, ma rinnovarla periodicamente con nuove tecnologie di animazione.

E infatti dopo Alice in Wonderland, Maleficent, Cenerentola, Il libro della giungla, La bella e la bestia, Ritorno al Bosco dei 100 Acri, Dumbo e l’attuale Aladdin, nei prossimi anni verranno pubblicati molti altri remake, come Il re leone, Lilli e il vagabondo e Mulan. Come si può notare, sono tutti rifacimenti di cartoni animati della stessa casa di produzione. Le critiche usualmente mosse contro le operazioni di remake, reboot o remastered sottolineano la mancanza di nuove idee originali da parte delle aziende dell’intrattenimento, che si vedono costrette in questo modo a riciclare vecchie storie.

Ci si dimentica però che le aziende, come tali, sono sempre alla ricerca sì di intrattenere, ma anche di far profitto, e negli ultimi anni il marketing vintage si sta prestando molto bene allo scopo. Il motivo quindi per cui si guarda al passato sembra essere – oltre a suscitare nostalgia – soprattutto la disponibilità di nuovi mezzi di produzione e nuove tecniche di animazione, messe alla prova (per adesso) su storie non originali. Probabilmente il futuro conoscerà nuove frontiere dell’intrattenimento in forme che forse non possiamo ancora ben definire; se anche allora si tenderà a riciclare le stesse storie, allora le critiche di oggi non sembreranno del tutto infondate.

Francesco Gallo
Mi arriccio la barba, affondo nei pensieri, a volte parlo con ironia. E nel frattempo studio filosofia.