Del: 17 Maggio 2019 Di: Lucia De Angelis Commenti: 0

L’altro ieri sera, mercoledì 15 maggio, la libreria di via laghetto Colibrì Milano ha ospitato Andrea Colamedici e Maura Gancitano, ideatori e fondatori della casa editrice, scuola di filosofia e scuola di teatro Tlön. 

Nella saletta piena di gente, tra bicchieri di vino, libri e qualche stuzzichino i due filosofi hanno presentato il loro ultimo lavoro: Liberati della brava bambina. Un saggio narrativo, un libro dolce e appassionato che nasce dall’idea che ogni percorso di crescita sia un percorso realizzazione, di riconoscimento di sé, che non può che essere affrontato con consapevolezza e autentica passione. Questo libro illustra, attraverso gli esempi di otto figure femminili tratte dal mito antico e dalla narrativa contemporanea, perché e in quali modalità lesperienza delle donne sia spesso frenata da muri “senza nome”, che impediscono la realizzazione di una personalità autentica. Attraverso gli strumenti della filosofia, la domanda e l’esempio, Andrea e Maura vogliono dimostrare che è possibile sgretolare queste gabbie se si trae occasione dal blocco per comprenderlo, superarlo e poi fiorire.

Al termine della presentazione i due filosofi ci hanno gentilmente concesso la preziosa occasione di fare due chiacchiere con noi.

L’intervista è stata editata per ragioni di brevità e chiarezza.

Come e quando nasce il progetto Tlön? Come è strutturato?

Andrea: «Tlön, un progetto filosofico multidisciplinare, nasce quattro anni fa come casa editrice, a cui si è accostata poi un’agenzia di eventi che organizza incontri, seminari, conferenze e workshop. Entrambe sono nate col pretesto di conoscere persone interessanti, pubblicando i loro libri e diffondendoli. Questo ha portato all’esigenza di creare un ulteriore spazio e così tre anni fa a Roma è nata la libreria-teatro Tlön».

La divulgazione è infatti il cuore pulsante di tutto il vostro progetto. Perché avete sentito il bisogno di dedicarvi alla filosofia pratica, meno accademica e più rivolta alla formazione personale?

Andrea: «Io e Maura crediamo che la filosofia vada riconsegnata alla sua declinazione naturale, che è l’arte di vivere e non l’arte di pensare, per dirla con Adorno. Il che non significa, ovviamente, che non si debba pensare ma che prima di tutto esiste un’ars vivendi da esplorare. Questo è quello che hanno cercato di fare, in modi diversi, filosofi come Benjamin, Heidegger e Wittgenstein ovvero cercare di riconsegnare la filosofia, che nelle accademie sta fondamentalmente soffocando, al suo luogo naturale, cioè la piazza — che oggi significa tanto piazze fisiche quanto virtuali. Quello che a noi interessa è sfruttare ogni mezzo di comunicazione per invitare alla riflessione. Tanti altri filosofi invece sono terrorizzati dal confronto, si chiudono nelle mura accademiche e non capiscono che invece le università dovrebbero essere una fucina in cui formare dei rivoluzionari, non un posto in cui replicare il Decamerone, in cui rinchiudersi mentre fuori si diffonde la peste. Bisognerebbe pensare alle università come strumenti di creazione di ribelli. L’idea di proteggersi e proteggere un sapere tramite la separazione è la maniera più rapida per distruggerlo. La filosofia non è fatta per stanze chiuse, ma per piazze».

Nelle vostre riflessioni “fioritura personale” e “società della performance” sono due temi molto ricorrenti. Secondo voi sono conciliabili e, se sì, con quali strategie?

Maura: «La società della performance è uscito a dicembre 2018 ma in realtà era un’espressione che usavamo già da un paio di anni proprio per mettere in luce, in una espressione, il mutamento delle dinamiche sociali negli ultimi decenni: non viviamo più nella società dello spettacolo come teorizzata da Guy Debord, perché non esiste più il diaframma che separava la platea dal palco, con attori da un lato e spettatori dall’altro, ma siamo chiamati a diventare costantemente performer e a produrre continuamente contenuti virtuali. La società della performance è estremamente narcisistica ed egocentrica, con la conseguenza di voler tendere unicamente all’interesse personale e alla visibilità, ma è anche formata da individui profondamente infelici perché appassiti in un ruolo non autodeterminato, ignari dei propri autentici desideri. Come contraltare, infatti, continuiamo ad avere bisogno di fiorire a livello personale, un aspetto indipendente da questo tipo di dinamiche di livellamento sociale. Come conciliare questi due estremi? Sembra impossibile perché all’interno della società della performance pare non ci sia spazio per l’autenticità che, però, può essere ricreata collettivamente: non può esistere una vera fioritura personale che non sia anche collettiva e, viceversa, non può esistere una fioritura collettiva autentica che non parta dalla fioritura personale. In altre parole: la fioritura collettiva è una fioritura personale connessa con il dono di qualcosa agli altri, che è uno degli stratagemmi per contrastare la vacuità e le limitazioni della società della performance, come tutto quello che ha a che fare con la creazione di relazioni autentiche, di comunità, di promozione di idee inclusive. È difficile, ma cruciale, creare una società in cui ci si riconosca al di là delle differenze individuali. Una conciliazione tra questi due temi consiste anzitutto nel riconoscere le caratteristiche della società della performance, e quindi capire come questa ci limita, per poi superarle a livello individuale attraverso la narrazione, il riconoscimento dei desideri e la creatività e poi a livello collettivo, unendosi agli altri, creando esercizi di rottura e di deriva».

Quindi di fatto è anche politico il vostro approccio verso la filosofia?

Maura: «Politica nel senso autentico del termine: tutto ciò che facciamo è politico e tutte le parole che diciamo sono politiche, una cosa ben diversa dai partiti. Il termine “politica” oggi è considerato in una accezione negativa ma in realtà la persona che fa politica è chi si prende cura del posto in cui vive, non per realizzare i propri interessi, ma per realizzare il bene comune. Quindi sì, in questo senso il nostro approccio è politico perché in fondo tutto è profondamente politico e se sei ignaro di questo probabilmente la cultura politica che stai veicolando limita anche te perché è qualcosa che accresce il tuo capitale o i tuoi interessi personali».

A proposito di un fatto recentissimo di grande risonanza politica: si è conclusa lunedì la trendaduesima edizione del Salone del Libro di Torino e Altaforte, alla fine, non ha partecipato ma il loro stand era stato spostato vicino al vostro. Se fossero stati presenti come vi sareste comportati?

Andrea: «Avevamo in mente un piano d’azione. Prima di tutto evitare di fare quello che avrebbero voluto noi facessimo (ad esempio rovesciare una boccetta di inchiostro sui loro libri, cosa che li avrebbe fatti passare in un attimo come vittime). In questi casi bisogna essere scaltri perché basta poco e le azioni di protesta vengono distorte e trasformate nell’opposto, nello stanco adagio de “il fascismo degli antifascisti”. Avevamo quindi pensato di farli giocare, creando una campana per bambini e adulti, disegnata con gessetti colorati. Immaginatevi che scena se tutto lo stand di Altaforte fosse stato circondato da gente che giocava a campana! Sarebbero rimasti spiazzati, neutralizzati in partenza. Poi avevamo creato degli esercizi di meraviglia per sottoporli anche a loro, del tipo “regala un libro a caso”…»

Maura: «… Magari non il tuo!»

Andrea: [ride] «… Insomma esercizi semplici che possano dare la possibilità di rompere gli schemi. I nostri esercizi di rottura, tratti dagli studi dell’etnometodologo Harold Garfinkel, consistono ad esempio nel chiedere l’ora a qualcuno e, alla loro risposta, replicare con: “In che senso?”; in questo modo destabilizzi l’interlocutore, che perde il riferimento e si trova spiazzato rispetto al ruolo che interpreta (in questo caso il ruolo dell’uomo pelato col bomber che deve menare tutti). Con i neofascisti è utile scontrarsi direttamente ma è altrettanto utile che qualcuno ti faccia spiazzare. Poi avremmo comunque fatto stampare volantini della Costituzione con l’articolo antifascista, “Contro gli indifferenti” di Gramsci, avremmo citato anche Primo Levi, ma un’operazione solamente citazionistica sarebbe stata banale. Volevamo creare un luogo di gioco per mostrare la differenza abissale con loro».

Liberati della brava bambina è il quarto libro che avete scritto insieme, dopo Tu non sei Dio, Lezioni di meraviglia e La società della performance; diversamente dai tre libri precedenti tratta di temi femministi innestandosi, però, nel mercato editoriale italiano che è ancora fortemente sessista. Consapevoli di questo, avete deciso di pubblicarlo nonostante questo fenomeno o in ragione della sua esistenza, per cercare di eroderlo?

Maura: «I filosofi devono dare fastidio perché se si limitano ad affermare lo status quo non sono veri filosofi ma sono pensatori al servizio di qualcuno. A noi piace dare fastidio e diffondere idee forti in cui crediamo. Nel corso del tempo anche i nostri libri sono cambiati perché siamo diventati sempre più consapevoli delle parole che usavamo (ad esempio nel colophon de La società della performance avvisiamo il lettore che nel libro si utilizza la parola “uomo” per intendere “essere umano” per motivi di praticità e non perché vogliamo reiterare quest’uso maschilista del linguaggio). Liberati della brava bambina è un libro che può dare fastidio a chi ha un’idea patriarcale della società ma che è stato fortemente voluto dalla casa editrice (Harper Collins, ndr.) che ha invece preso una posizione decisa su questi temi e ha già pubblicato saggi sul linguaggio sessista. I temi femministi e, nello specifico, quelli relativi al linguaggio sono oggi molto diffusi e discussi: non viviamo più ai tempi della rubrica Le sexisme ordinarie di Simone de Beauvoir su Les Temps Modernes, quando questi argomenti venivano trattati per la prima volta dai mezzi di informazione, dunque non è più scusabile essere ignoranti rispetto a questi temi. In realtà lo siamo tutti di nascita, nel senso che veniamo tutti educati a pensare parlare e agire in un certo modo però poi non possiamo sottrarci alla responsabilità della conoscenza e del documentarci. Il libro, che è una sorta di ibrido tra narrativa e saggistica, può risultare strano rispetto a tanta letteratura femminista perché veicola questi contenuti attraverso le storie di otto donne tratte dal mito antico e contemporaneo. Il tentativo era evitare di copiare ciò che esiste quindi evitare di produrre un libro gemello e creare invece, dando un taglio diverso, un’opera unica».

Lucia De Angelis
Mi entusiasmano i temi sociali, i filosofi greci, le persone intelligenti e le cose difficili.
Angelica Mettifogo
In bilico tra tutto quello che voglio fare e il tempo che ho per farlo. Intanto studio filosofia.