Del: 7 Giugno 2019 Di: Alice De Matteo Commenti: 0

Adrian Paci è uno dei massimi rappresentanti dell’arte contemporanea italiana. Attivo a Milano, è originario di Scutari dove è nato il 28 gennaio 1969.

Adrian si è allontanato dall’Albania nel 1997 per disordini politici, trasferendosi con la famiglia in Italia e lasciando la cattedra di Storia dell’Arte e dell’Estetica dell’Università di Scutari. L’artista aveva già vissuto durante gli anni da studente nel capoluogo lombardo, avendo frequentato nel 1992 l’Istituto Beato Angelico grazie ad una borsa di studio. Successivamente è tornato nel paese natale dove aveva già concluso gli studi all’Accademia delle Arti di Tirana(iniziati nel 1987) e presso cui aveva studiato con l’attuale primo ministro albanese Edi Rama. Durante la formazione universitaria Adrian aveva incentrato i suoi studi negli unici insegnamenti d’arte ammessi dal regime albanese di quegli anni: nell’arte figurativa.

La sua prima partecipazione alla Biennale di Venezia (51esima) portò l’arte di Adrian al grande pubblico e susseguirono vari successi in tutto il mondo, dal Museum of Modern Art al PS1 di New York. Tuttavia, il pubblico italiano lo conosceva già per la sua prima mostra personale nel Paese a Modena (2006).

Adrian Paci ha vissuto in prima persona l’abbandono della propria terra natale e l’eco di questo tema lo troviamo in molte opere.

Eppure sarebbe sbagliato sforzarsi di cercare uno studio critico sull’Albania attuale (come invece, aveva fatto, relativamente agli USA, Jacobs ai suoi tempi con The Migration of the Negro) perché alla terra natale ha dedicato esplicitamente due tra i primi filmati realizzati: Real game e Albanian Stories in cui la periodizzazione si riferisce ai momenti d’anarchia.

Piuttosto, la frequenza con cui l’abbandono è presente nelle opere dell’artista è da interpretare come condizione globale a cui tutti siamo chiamati a confrontarci.

A questo proposito non può non essere citato il lavoro After the Wall There Are Some Walls che rende chiara l’idea della barriera a cui il movimento migratorio è inscindibile e in cui prende vita il senso di ‘‘non essere’’ studiato dall’antropologia contemporanea per cui chi si sposta non è ancora nel paese di destinazione e non è più nel paese di partenza.

Più recente è il video Centro di permanenza temporanea (2007). In questo caso i viaggiatori devono tornare nel paese di origine e il mezzo di trasporto è l’aero che dovrebbe partire da San Jose in California, ma non arriva e gli immigrati, nell’attesa, vivono un immobilismo in contrasto all’atto che si dovrebbe compiere: il viaggio.

 

 

Alice De Matteo
Studentessa di Scienze Storiche presso l'Università Statale. Scrivo sempre con una tazza di earl grey e sempre nella mia città.